Comunicare mi interessa

La comunicazione nasce anche dal basso, basti pensare a blog, social network, al citizen journalism, cioè il giornalismo partecipativo.
Giornaliste della Cnn

Dall’alto verso il basso. Tra chi sa, e media, e chi non sa. La comunicazione ha spesso un percorso verticale. Ma, da anni, non è più così. La comunicazione nasce anche dal basso, basti pensare a blog, social network, al citizen journalism, cioè il giornalismo partecipativo. È una domanda crescente e popolare che insegue la realtà, i fatti, la verità. Per la voglia di esserci, partecipare, capire. Proviamo ad intercettarla.
 
Una volta il telegiornale si celebrava come le messe la domenica. Andava in onda ad orari fissi e la sigla d’apertura che annunciava l’inizio del notiziario ricordava da vicino le campane che richiamavano i fedeli al rito del dì di festa. Alla prima nota ci si radunava davanti al focolare domestico per sapere cosa fosse successo nel mondo e sotto casa nostra. Un andamento regolare che sembrava quasi seguire i ritmi della natura, con l’alternarsi placido del giorno e della notte e il succedersi periodico delle stagioni. Negli spazi non coperti dai tg la vita infatti andava avanti senza l’assillo dell’ultima ora o della breaking news.
Una liturgia che veniva interrotta solo in circostanze davvero eccezionali. Molti ricorderanno l’ansia e il timore, misti all’eccitazione che prendeva gli italiani quando in un’ora inusuale, non dedicata all’informazione, veniva interrotta la normale programmazione con l’annuncio di una imminente edizione straordinaria. Si tratteneva il respiro aspettando di sapere quale sciagura fosse accaduta nel pianeta, se il terrorismo avesse fatto un’altra vittima o se il terremoto avesse fatto un’altra strage. Ci si nutriva di notizie ad intervalli regolari: il radiogiornale e il quotidiano a colazione, il tg a pranzo e a cena. Una dieta equilibrata che soddisfaceva il fabbisogno informativo giornaliero e che molto stride con la bulimia del cittadino di oggi, che trangugia notizie come fossero patatine e hamburger.
 
Sono tre le testate televisive italiane all-news che offrono informazione e approfondimenti a tutte le ore del giorno e della notte. Le notizie si bruciano in un attimo come i miliardi a Piazza Affari e quando il tg della sera arriva, tutto suona già sentito, stantio come il pane raffermo in dispensa, visto che in ogni istante ci si informa sui siti online, tramite gli smartphone, attraverso le Reti dei social network. Nulla ormai ci sfugge, tutto sappiamo di quel che ci accade attorno. Un forte elemento di democrazia perché impedisce la censura e permette a tutti di trovare un canale libero sul quale far viaggiare informazioni alternative, talvolta scomode, al punto che il citizen journalism, il giornalismo dal basso, fatto dagli stessi cittadini mettendo in Rete filmati ripresi con telefonini e videocamere amatoriali, è una delle nuove frontiere della comunicazione di oggi.
Ma alla fine, le notizie che arrivano da troppe fonti e non tutte attendibili, rischiano di forgiare un cittadino che ne sa di più, ma forse capisce di meno. Che conosce i fatti, ma ne smarrisce il senso. Che guarda il dito e non la luna. Si spiega così la rivoluzione silenziosa che ha cambiato giorno dopo giorno i principali quotidiani cartacei italiani, che in crisi d’identità, spaventati dalle rughe e temendo l’estinzione, da qualche tempo si sono affidati al chirurgo estetico per provare a cambiare faccia. Le prime dieci-quindici pagine non sono più la vetrina di quel che è appena accaduto, ma la galleria nel quale i grafici dettano legge. Foto che occupano tre quarti di pagina e testi ridotti a didascalie, trionfo di riquadri esplicativi e ricostruzioni illustrate. Schema che è tagliato su misura sul lettore-cittadino di oggi che, ormai abituato a stare non più di pochi secondi su una schermata del web, viene trattenuto su quella stampata il tempo necessario a passare da un breve blocco di testo al successivo, saltando da una pagina all’altra, andando avanti e indietro, sopra e sotto, senza essere costretto a seguire come una volta la progressione dalla notizia più importante a quella meno essenziale, secondo il percorso indicato ogni giorno dalla direzione del giornale, un tempo la preghiera del mattino dell’uomo moderno.
 
Sconfitti sul fronte delle notizie dalla tempestività della Rete, quotidiani e tg provano a recuperare posizioni puntando forte sui commenti. I fatti distinti dalle opinioni, è sempre stato un comandamento del giornalismo anglosassone, mai troppo seguito nelle redazioni italiane più inclini a parteggiare che a raccontare con obiettività. Soprattutto negli ultimi vent’anni nei quali, la presenza sulla scena di Berlusconi ha spinto anche l’informazione a schierarsi da una parte o dall’altra, pro o contro il Cavaliere.
Ma quella che era una deformazione italiana sta diventando sempre più un trend mondiale. Lo ammette anche Jill Abramson, prima donna a dirigere in 160 anni di storia il New York Times, che oggi è costretta ad ammetter che sempre più l’enfasi si sposta dal «chi, dove, quando, che cosa» al «come e perché». Conseguenza della necessità di fornire spiegazioni e contesti di fronte all’arrembante torrente di notizie che sgorga da Internet.
Anche se poi spaventa il caos, ancor più dovrebbe allarmare i cittadini di oggi, la possibile soluzione a quella babele comunicativa. E cioè la necessità che qualcuno dall’alto metta ordine, decidendo per noi cosa sia importante e cosa no. Ruolo che di fatto già esercitano da anni i grandi network internazionali, che, sulla base anche delle proprie convenienze e di quelle dei gruppi di potere che li sostengono, su scala planetaria impongono al mondo i temi e le notizie di cui si deve parlare. Titani dei quali non c’è molto da fidarsi almeno a giudicare da quanto avvenuto al News Corporation, un gigante da 51 mila dipendenti creato dallo “squalo” Rupert Murdoch, che, dopo aver deciso chi dovesse vincere le elezioni in mezzo pianeta, è stato costretto a chiudere in Inghilterra il tabloid scandalistico News of the world, decapitato da una decina di arresti per la famosa storia delle intercettazioni illegali con il solo scopo di arrivare prima degli altri a conoscere pettegolezzi inediti da piazzare come scoop in prima pagina.
È l’effetto del più letale dei circoli viziosi dell’informazione di oggi, quello che fa passare l’idea che per vendere e fare ascolti non si possa prescindere da certe notizie truculente o pruriginose, le uniche che la gente segua con passione. Con la conseguenza che più si propinano storie con le tre esse davanti (soldi, sesso, sangue) e più l’individuo abbassa l’attenzione sui temi più rilevanti per la sua vita, quella della sua famiglia, della comunità in cui è inserito, del quartiere in cui risiede.
Un tempo il tg era un rito collettivo, diventava lo spunto per discutere e confrontarsi. Oggi invece spesso si consuma la propria dose di informazione in solitudine davanti al pc o al cellulare, con il pericolo sempre presente dell’overdose, non essendo peraltro mai certi che quanto ci viene spacciato non sia stato tagliato male, come droga di pessima qualità. Per questo è fondamentale munirsi di anticorpi che rendano più forte il corpo della cittadinanza di fronte ad una comunicazione tanto pervasiva.
Incontrarsi, discutere faccia a faccia, tornare a occupare gli spazi di socialità lasciati vacanti dal tramonto di partiti e ideologie è il primo passo per non restar passivi di fronte all’aria che tira. L’informazione è oggi come l’ossigeno: se ogni istante non la respiriamo, rischiamo di morire. Ma inalando notizie, dobbiamo evitare di far entrare nei polmoni della nostra democrazia anche i peggiori gas di scarico dei media. Un buon filtro aiuterà a migliorare le cose.

Gianni Bianco

 
 
Spot, si gira!
 
Che cosa influenza maggiormente i comportamenti, gli stili di vita dei giovani? «I media! Soprattutto la pubblicità!», risponderebbero i nostri lettori. Un manipolo di Giovani per un mondo unito di Brescia si sono chiesti come possono essere protagonisti nell’utilizzo dei media, grazie a strumenti come blog e social network.
Ma quanti sanno utilizzarli correttamente? Servirebbe una patente della comunicazione, come chiedeva Popper. Ecco l’idea: organizzare un percorso di formazione per rendere i giovani più consapevoli dei messaggi a cui sono esposti e generare comunicatori e testimonial che sappiano essere animati dallo spirito della fratellanza universale.
Il percorso chiamato “Spot, si gira! In ComunicAzione!” prevede otto appuntamenti mensili fino a maggio 2012. Ai primi quattro incontri (i linguaggi della comunicazione; la multiculturalità; i giovani e le dipendenze; il rapporto uomo-donna) ha fatto seguito un incontro con le istituzioni e i media locali sulle realtà del territorio. I successivi tre workshop serviranno per realizzare altrettante campagne pubblicitarie sulle tematiche trattate dagli esperti.
I giovani promotori di “Spot, si gira!” hanno coinvolto nel progetto: un gruppo di docenti e studenti di grafica pubblicitaria dell’Accademia Santa Giulia di Brescia, che hanno messo a disposizione le sale per gli incontri, oltre alle strumentazioni e alle conoscenze tecniche degli studenti per la realizzazione delle campagne pubblicitarie; gli esperti che hanno guidato gli incontri teorici, Raffaele Cardarelli, pubblicitario, Anna Granata, psicologa, Anna Casella, antropologa, Liliana Cosi, étoile, ed Ezio Aceti, psicoterapeuta. Il sindaco di Brescia ha indetto la conferenza stampa nella sede comunale sottolineandone l’originalità e i principali media locali hanno sostenuto il progetto con articoli e servizi.
Il primo incontro ha visto la partecipazione attiva di oltre 400 giovani, in gran parte provenienti dalle scuole superiori, dove il progetto era stato divulgato attraverso l’ufficio scolastico provinciale che ha sottolineato la validità educativa e la modalità vincente teorico/pratica del progetto.

Raffaele Cardarelli

 

 PuntoLab
 
PuntoLab è un Laboratorio civico di comunicazione che nasce a Roma dall’esigenza di creare uno spazio aperto al dialogo in città, di interrogarsi sull’uso e sull’influenza dei media, di suscitare una maggiore coscienza critica tra i cittadini stimolandoli a una partecipazione attiva nel panorama mediatico. Il laboratorio ha scelto come titolo “L’Altro: identità e relazione”, tema di fondo sul quale si declinano i diversi appuntamenti pubblici. L’idea è nata nel 2009 da un gruppo di professionisti della comunicazione e studenti universitari che aderiscono alla rete internazionale di operatori dei media dal nome NetOne.
Ogni appuntamento è articolato in alcuni momenti critici con schede filmate e contributi artistici, seguiti da dialogo e confronto fra professionisti e cittadini, e infine da spunti positivi e proposte per un uso più consapevole dei mass media. Il progetto del laboratorio si è realizzato con il sostegno della Commissione europea e ha ricevuto il patrocinio di alcuni municipi romani, proprio perché inserito nel tessuto vitale della città.

Quattro finora gli appuntamenti organizzati in città da marzo 2010 a marzo 2012. Il primo, “L’altro nella notizia”, organizzato in piena emergenza sbarchi a Lampedusa, ha affrontato il tema della paura dello straniero trasmesso dai media, ma anche i lati positivi dell’integrazione. Il secondo, dal titolo “L’altro: l’immagine della donna”, ha preso spunto dal documentario Il corpo delle donne di Lorella Zanardo. Ne è nato un dibattito sulla constatazione che le donne in tv stiano perdendo la propria identità e che siano state sostituite da una rappresentazione grottesca, volgare e umiliante di vallette e letterine. Il terzo appuntamento, dal titolo “L’altro: lo scontro e l’incontro”, è stato dedicato al genere televisivo dei reality show con le loro criticità ma anche le possibilità comunicative che propongono. Il dibattito in sala è stato critico ma costruttivo, facendo scoprire l’esistenza di reality alternativi, capaci di veicolare valori positivi di solidarietà e apertura all’altro. L’ultimo appuntamento dello scorso marzo, sul tema “Possesso o condivisione?”, ha visto docenti universitari, economisti e cittadini confrontarsi sulla società dei consumi e sulla sua rappresentazione, sui messaggi che la pubblicità lancia ogni giorno sulla felicità frutto di soldi, possesso e consumismo invece che sui beni relazionali, ma anche sulle possibilità di cambiamento degli stili di vita più sobri e sostenibili.

Lorenzo Russo

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