Compiere le opere di Gesù

Gesù ha molto desiderato incontrare gli apostoli per l'ultima cena perché doveva comunicare i suoi doni più preziosi. Ci soffermiamo su due delle sue promesse.

Le molte promesse di Gesù disseminate lungo il Vangelo di Giovanni si addensano e si moltiplicano nelle poche ore nelle quali egli si siede a tavola con i Dodici per la sua ultima cena con loro. Che serata straordinaria fu quella! Gesù l’aveva attesa per tutta la vita: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi», disse appena salì nella sala al piano superiore della casa di “un tale” (Lc 22, 14-15). In greco l’espressione è ancora più intensa: «Con desiderio ho desiderato», forma grammaticale che esprime un superlativo: «Ho tantissimo desiderato».

Perché questo struggente desiderio di Gesù? Perché per quell’ultima sera si è riservato i doni più preziosi che custodiva gelosamente: l’Eucaristia, il sacerdozio, il comandamento nuovo, la preghiera per l’unità… Ma anche le promesse più grandi: se ne andava, ma prometteva che sarebbe rimasto, che non ci avrebbe lasciato da soli, che avrebbe mandato lo Spirito Santo, promessa delle promesse! A Giovanni occorrono ben cinque capitoli del suo Vangelo per raccontarci quello che Gesù fece e disse quella sera nella sala superiore a dimostrazione del suo grande amore per noi: «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13, 1).

Soffermiamoci su due di quelle tante promesse. La prima è sconcertante: «Chi crede in me compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi» (Gv 14,12). Non è possibile! Compiere le opere che Gesù ha compiuto, anzi farne di più grandi? È simile al sogno di quanti hanno dato vita a grandi aziende. Vorrebbero vedere i figli continuare la loro impresa, anzi ingrandirla, svilupparla. Invece il più delle volte i successori sono degli inetti che ereditano la società, ne dilapidano il capitale e si mostrano incapaci di amministrarla e farla crescere.

Non sarà così per la grande impresa di Gesù, per quella comunità nuova, la Chiesa, a cui egli sta dando vita con la sua morte e risurrezione. I discepoli continueranno compiere con fedeltà le sue opere. Faranno miracoli come lui? Anche, ma la sua opera è un’altra: attuare il progetto di Dio di radunare i figli di Dio dispersi e comporli in famiglia. Tutte le altre opere sono a servizio di quest’unica opera. I credenti faranno opere “più grandi”, nel senso che porteranno a compimento, attraverso i secoli, quanto Gesù ha iniziato.

Oggi quei credenti siamo noi. Possiamo davvero continuare e compiere l’opera di Gesù? Ma noi non siamo Gesù… Lo sapeva che avremmo dubitato, per questo la promessa si apre con un «In verità, in verità io vi dico: chi crede in me…». Premette quel misterioso “Amen, amen dico vobis” che è come un sigillo di garanzia: sto parlando sul serio, sarà proprio così.

Com’è possibile partecipare alla missione di Gesù e operare come lui opera? L’ha appena detto: «Chi crede in me…». È questo il segreto. Credere, lo sappiamo, non è soltanto un assenso mentale, è una adesione di se stesso, fino a diventare una cosa sola con colui nel quale si crede. Sarà dunque lui il vero autore delle opere e dell’opera che la Chiesa e noi in essa, siamo chiamato a compiere. Come Gesù compie la missione che il Padre gli ha affidato perché il Padre è in lui, così i discepoli di Gesù possono continuare la sua missione perché egli è in loro.

Poco più avanti, quella stessa sera, Gesù spiega ulteriormente introducendo un’altra promessa dello stesso tenore: «Chi rimane in me porta molto frutto» (Gv 15, 5). Prima ha parlato di opere, ora di frutti, usando l’immagine della vite i cui tralci, se ben lavorati, generano grappoli d’uva. Al di là della metafora promette che in noi fiorirà in pienezza la vita che egli è venuto a portare e che a nostra volta saremo capaci di suscitare la vita di Dio attorno a noi.

Anche in questo caso sarebbe ridicolo appropriarci della vita che nasce in noi e attorno a noi, così come sarebbe ridicolo che il tralcio pensasse che sia lui e non la vite a far germogliare l’uva. La vite è Gesù! Per portare frutto occorre essere saldamente innestati in lui: «Io sono la vite… voi siete i tralci». Noi siamo perché egli è. La Chiesa c’è perché c’è Cristo.

Continuando il suo discorso Gesù lascia da parte l’allegoria della vita e dei tralci e ripete che dobbiamo “rimanere” nel suo amore, in lui.

Ancora una volta siamo come davanti a una cascata: l’amore scende dal Padre al Figlio, dal Figlio a noi. La nostra vocazione è vivere dell’amore e nell’amore, ossia vivere in Gesù, osservando la sua parola, così che sia lui a compiere, nel tempo, attraverso di noi, l’opera che il Padre gli ha affidato; un’opera che diventa la nostra.

Cosa promette dunque Gesù? Di condividere con noi la sua missione: fare di tutti uno! È l’opera più grande, il molto frutto: lui in noi, noi con lui, noi come lui, per compiere il disegno del Padre.

   

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