Ciro e Ibrahim, è possibile

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Provate a immaginare di mettere insieme per una settimana un gruppo di ragazzi dai 15 ai 16 anni di diverse città della Sicilia e un gruppo di giovani immigrati provenienti da una decina di nazioni diverse del Medio Oriente e dell’Africa. Supponete che si mettano in testa di fare un’esperienza di convivenza sfidando differenze linguistiche, culturali, religiose e di età. Aggiungete un pizzico di sana incoscienza giovanile. Agitate bene il tutto e provate ad assaporare l’originale cocktail: il gusto frizzante vi sorprenderà. Ecco i nostri ragazzi, sempre al centro di analisi che li vorrebbero apatici, indifferenti alla realtà, annoiati… E invece ti scopro Emanuele con il suo inglese vacillante intento a colloquiare con il suo nuovo amico siriano Bakdash a cercare di capire meglio l’assurda guerra in Libano. Bruno e François della Costa d’Avorio provano a intavolare un discorso in un surrogato d’italiano, mentre Ciro e Ibrahim, gomito a gomito, preparano la cena per tutti. Sorprendono sempre i ragazzi perché non riesci mai ad inquadrarli, a etichettarli. Nelle storie dei loro nuovi amici, i ragazzi (Ragazzi per l’unità, Focolari) scoprono presto un mondo a loro sconosciuto seppure spesso la televisione gli vomiti addosso cronache di guerra. Adesso ha tutto un altro spessore. Scoprono ben presto di conoscere poco o niente della geografia dell’Africa o della situazione politica dei vari Paesi. Così i dolori degli immigrati diventano presto i loro: guerra, persecuzioni politiche, nostalgia di casa. Esistenze piagate, che diventano tuttavia maestre di vita. Scoprono tratti di una umanità ricchissima e sui loro volti non manca mai il sorriso. Passano uno, due giorni e li vedi lì, l’uno accanto all’altro, fratelli, bianchi e neri, due gocce d’acqua insomma. Ai ragazzi non piacciono le mezze misure, si sa; così vogliono condividere in tutto la vita dei loro amici. Adesso sono in spiaggia e tutti giocano con l’acqua come bambini. Si fanno tuffi, ci si ricopre completamente di sabbia e Mohammed e Carlo adesso sono dello stesso colore dalla testa in giù. La sera vanno in giro insieme per la città. A gruppi di due e di tre passeggiano per le strade affollate come niente fosse; ma lo spettacolo vi assicuro è unico e non passano inosservati. Giunge venerdì. Tanti dei nuovi amici immigrati sono musulmani, e si preparano ad andare in moschea per la preghiera rituale. I ragazzi sono sempre loro, per loro tutto è gioco, ma un gioco molto serio: anche loro vogliamo accompagnarli in moschea . Ed eccoli a piedi nudi su bellissimi tappeti, i canti in arabo della preghiera musulmana li avvolgono di una presenza del divino innegabile. E il cristianesimo dei ragazzi riceve una spinta ulteriore verso il Vangelo. Strano ma vero. Finita la preghiera ci risiamo, come quando si gioca e non si vuole più smettere: ancora! Adesso vogliono fare delle domande al responsabile della moschea sull’Islam, sulla loro cultura. Così si ritrovano seduti a terra, cristiani e musulmani, e via alle domande, alla scoperta di un Islam che non fa paura. C’è un clima sacro. Foto di gruppo e via a giocare a calcio, oggi si conclude il loro mini-torneo e le squadre manco a dirlo sono miste. Si sono messi in testa anche di organizzare un cineforum sulla integrazione, ma hanno voluto che fosse aperto anche alla cittadinanza del paese dove si trova il centro di accoglienza. L’evento è pubblicizzato col buon vecchio passaparola. E così ci si accorge che la gente che ci crede – alla convivenza e alla fraternità – c’è anche in un piccolo paese come Pedalino. Dieci, venti, trenta… cinquanta persone, ragazzi, adulti, e ancora bianchi e neri a ragionare su come questo sogno possa tradursi in realtà. È l’ultima sera e non si può descrivere la simpatia e la vicinanza che si è creata tra tutti. Scambio di numeri di cellulari, di email.Ma, soprattutto, la promessa di ritornare. Immagina, caro lettore, immagina che tutto questo non sia solo un bel racconto e neppure un episodio isolato. Immagina un mondo già punteggiato da una rete di milioni e milioni di piccoli e meno piccoli brani di fraternità realizzata, come questo. I ragazzi di Pedalino – italiani e stranieri – ci insegnano ancora una volta quello che noi adulti spesso dimentichiamo: la forza dei grandi ideali capaci di cambiare la storia, anche di una storia travagliata e complessa come quella attuale. Ci insegnano a realizzare i nostri sogni, perché non si spenga la speranza.

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