Cinema italiano: una nuova vitalità

Nuove pellicole in uscita che attestano un nuovo fermento per la produzione cinematografica italiana. Spicca, imprevedibilmente premiato con la migliore sceneggiatura al festival di Cannes,  Lazzaro Felice di Alice Rohrwacher  

Dopo Cannes stanno uscendo una serie di film di autori più o meno noti che sembrerebbero confermare una ripresa di vitalità nel nostro cinema. Da ieri sono in sala diversi prodotti. Si va da La settima onda di Massimo Bonetti, ambientato al Sud, ad Hotel Gagarin, spiritosa commedia di Simone Spada; da Nobili Bugie di Antonio Pisu con Claudia Cardinale all’originale Rudy Valentino, fiaba del ritorno del mitico Divo nella sua Puglia, opera di Nico Cerasola. Ma il film più atteso rimane Lazzaro felice, miglior sceneggiatura a Cannes, di Alice Rohrwacher, in uscita la prossima settimana.

Si tratta di un lavoro  lirico e drammatico di intensa poesia e di attenta analisi sia psicologica che sociale. Tutto però non è mescolato, ma cadenzato da una scrittura densa, scarna e conseguente, senza vuoti e senza parole inutili. La storia si svolge nell’Italia centrale fra gli Appennini boscosi  dove vive una piccola comunità di mezzadri schiavizzati di fatto dalla marchesa Alfonsina e dal suo figlio viziato Tancredi. Lavorano duramente il tabacco e la terra, sono analfabeti, non conoscono il valore dei soldi. Fra loro c’è il giovane Lazzaro, un orfano figlio di nessuno, che viene sfruttato anche dal gruppo nei lavori continui e pesanti. Ma lui è felice di donarsi, di esser servizievole. Nello sguardo incantato vive un’anima pura, innocente, inscalfibile dal male. Così scopre l’amicizia con Tancredi, a cui rimane legato da un affetto fraterno, senza rendersi conto del carattere fatuo del giovane. La natura intorno è bellissima nel corso delle stagioni, nelle notti di luna, nella vita di una società arcaica con le piccole gioie, le serenate e il lavoro. Lazzaro è felice, anche se è solo: quando si ammala sarà difficile che qualcuno gli dia una letto.  È un “santo” semplice, una sorta di san Francesco, come  racconta una voce fuori campo in una leggenda dell’incontro tra un vecchio lupo e un eremita sfinito. Questo mondo crolla, quando la polizia interviene: sloggia  la comunità per svegliarla, farle capire che la mezzadria non esiste più da decenni, che la marchesa è andata in rovina e quindi la tenuta dell’Inviolata andrà venduta. La gente, si promette, verrà trasferita in alloggi decenti ed umani.

Lazzaro, che casualmente precipita in un burrone, quando si sveglia, non trova più il suo mondo. Vaga e cammina finché arriva in una città. Fa freddo, nevica, lui soffre in silenzio come in un martirio accettato serenamente. La città industriale e sporca, anonima, lo accoglie in baracche dove vive la sua gente, ancora emarginata: altro che dimore umane! Lazzaro si adatta a lavorare, a mendicare con loro, sempre disponibile, felice di aiutare nelle piccole cose di ogni giorno. Ritrova Tancredi, cambiato e squattrinato, che invita tutti a cena nel suo palazzo. La gioia riappare sui volti dei poveri che portano dei dolci. Verranno scacciati dalla sorella di Tancredi che fa la fame, tant’è vero che si prende i dolci. Il gruppo sente d’un tratto una melodia bellissima suonata da un organo: entrano in una chiesa ma le monache lo scacciano, devono pregare! Ma Dio non li scaccia, perché Lazzaro continua a sentire solo lui la musica. Certo, è stato tutto un grande inganno: la finta libertà, la finta serenità. Ma Lazzaro non demorde, aiuterà Tancredi andando in una banca a chiedere ingenuamente che restituiscano i soldi al marchesino. Non verrà compreso.

Le persone che ancora conservano il candore, l’incanto e la disponibilità all’amore disinteressato oggi diventano dei poveri cristi vittime della violenza che pervade la società.  Lazzaro, un santo semplice, è lo specchio di un mondo migliore, che forse esiste ancora o vorrebbe esistere nella ferocia del nostro tempo. L’interpretazione dell’emergente Adriano Tardiolo è di una rara bellezza, e la regia, con tatto squisito ed equilibrio fra i diversi toni del dramma lirico “religioso” –  una religiosità certo non confessionale – racconta anche con momenti commossi e commoventi una favola – parabola sulla vita, dove accanto all’inganno esiste anche la purezza.  Ma essa, parrebbe dire la regista, non sembra purtroppo capace di cambiare il mondo. Sarà vero? Da non perdere.

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