Cinecittà era una Babilonia?

Un documentario di Marco Spagnoli offre uno spaccato inedito ed originale su una fetta di storia del nostro cinema: la Cinecittà del ventennio fascista
Cinecittà (foto ANSA)

Marco Spagnoli, critico di cinema, giornalista, è anche sceneggiatore e regista. Attento al presente come al passato del nostro cinema, ha realizzato una serie di documentari, spesso premiati o candidati ai Nastri e ai David, fra i quali Hollywood sul Tevere (2009), Walt Disney e l’Italia – Una storia d’amore, Sophia racconta la Loren (2014), Donne nel mito: Anna Magni (2013), Enrico Lucherini – Ne ho fatte di tutti i colori (2014) ed ora Cinecittà Babilonia, sesso droga camicie nere.

74 minuti in bianco e nero dove, tra immagini di repertorio dell’Istituto Luce, interviste a personaggi come Enrico Lucherini, Gian Piero Brunetta, Franco Mariotti, Cristina Comencini e Giuliano Montaldo racconta la storia di Cinecittà negli anni del Ventennio. L’era dei telefoni bianchi, dei divi come Amedeo Nazzari e delle dive come Alida Valli e Maria Denis, dell’interesse per il linguaggio cinematografico americano da parte di Romano Mussolini, figlio del Duce, almeno fino al 1938. Sono gli anni in cui nasce la Città del Cinema – prima pietra il 24 Aprile 1937 – costruita in 589 giorni e che ha prodotto sino al 1943 ben 279 film.

Dietro l’immagine plebiscitaria di un Duce trionfante a Cinecittà, di pompose adunate, di proclami “storici” e di una censura moralistica, si celava un mondo diverso, di potere e trasgressione. Spagnoli si sofferma in particolare sulla coppia attoriale glamour Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, immersi in una vita seducente e finiti uccisi nel ’45, quando il fascismo crolla e Cinecittà è stata bombardata.

La si vorrebbe far rinascere nel dopoguerra a Venezia, ma è impresa illusoria. Così negli anni Cinquanta la Città apre – quando mai ha davvero chiuso?- alle produzioni americane, purchè lascino una percentuale in Italia. E la storia poi corre veloce fino ad oggi, quando Cinecittà rischia di essere solo un museo.

Ben girato, con filmati preziosi e curati,con le musiche di Max Di Carlo e la voce narrante di Vinicio Marchioni, il documentario offre uno spaccato inedito e originale su una fetta di storia del nostro cinema. Da non perdere.

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