Chiara Lubich e Dietrich Bonhoeffer

Dialoghi ipotetici, eppure plausibili, con personalità che Chiara non conobbe personalmente, ma che risultano in grande consonanza col suo pensiero. Pubblichiamo un secondo estratto dal libro di Lucia Abignente e Donato Falmi “Oltre il Novecento” (Città Nuova).

La ricerca di possibili consonanze tra Chiara Lubich e Dietrich Bonhoeffer costituisce una sfida interessante e significativa, nel rispetto di una “fusione di orizzonti” che si realizza correttamente quando gli elementi di feconda intersezione non appiattiscono le legittime differenze.

La condivisione degli “anni duri” che hanno caratterizzato la prima metà del Novecento, l’impegno ecumenico che ha consentito a entrambi di rapportarsi in modo fecondo a credenti di fedi diverse e a non credenti, l’impegno per la pace, la particolare sintonia con il rinnovamento del Concilio Vaticano II (nel caso di Bonhoeffer, solo come precursore), la cura per la formazione personale e dei fratelli, la centralità accordata alla Parola di Dio, la critica della religione ridotta a ritualismo, lo sguardo a Gesù sofferente riconosciuto quale manifestazione della prossimità di Dio: sono queste le esperienze e le tematiche che indicano la possibilità di una riflessione congiunta […].

Esistenza profetica in “tempi bui”

La tragica svolta del 1933 impresse sempre più rilevanza profetica all’esistenza di Bonhoeffer, particolarmente manifesta nell’impegno ecumenico e nella partecipazione attiva alla Chiesa confessante, nella direzione di seminari collettivi prima a Zingst e poi a Finkenwalde (1935-1937), negli interventi pubblici a favore della pace mondiale (con particolare attenzione a Gandhi), nell’adesione al servizio del controspionaggio militare e della resistenza tedesca in difesa delle vittime del nazismo. Arrestato il 5 aprile 1943, trascorse due anni di prigionia prima a Tegel, poi nel carcere dei Servizi di sicurezza del Reich e infine nel campo di concentramento di Flossenbürg, dove fu giustiziato il 9 aprile 1945 per ordine diretto di Hitler, a pochi giorni dalla resa della Germania.

Quanto alla ricerca della pace, Bonhoeffer è convinto della necessità di distinguere pace da sicurezza. […] «Non c’è via per la pace sulla via della sicurezza. La pace infatti va osata: è l’unico grande rischio e mai e poi mai può essere assicurata. Pace è il contrario di sicurezza. Esigere sicurezze significa essere diffidenti e a sua volta tale diffidenza genera la guerra. Cercare delle sicurezze significa volersi proteggere. Pace significa abbandonarsi completamente al comandamento di Dio, non volere sicurezza, ma, nella fede e nell’obbedienza, mettere nelle mani di Dio la storia dei popoli e non volerne disporre egoisticamente».

[…] La fermezza con cui Bonhoeffer decise di ritornare in Germania nell’estate del 1939 interrompendo un soggiorno negli USA, convinto che «Dio può e vuole far nascere il bene da ogni cosa, anche dalla più malvagia», suggerisce una non piccola analogia con la fermezza con cui Chiara Lubich decise di non abbandonare la città di Trento nella fase dei bombardamenti più duri (dopo il 13 maggio 1944): «Erano tempi di guerra – scrive Chiara nel 1948 –. Tutto crollava: sogni desideri, glorie, affetti, case, lavori, persone care. Non rimaneva che la vita e in pericolo pure quella».

Si intensifica la domanda sul senso, come in tutti i tempi di prova. […] L’esperienza degli anni bui fa maturare nel pastore riformato come nella giovane trentina la domanda sulla centralità del Signore nella propria vita, con la consapevolezza che non basta più essere “religiosi” in un determinato modo. Il tema, molto noto tra gli interpreti di Bonhoeffer, è presente anche negli scritti di Chiara: «Gesù vuole da noi – ripeto – non solo gente religiosa, che crede e Lo ama con qualche bella devozione, ma persone che lo conoscono, che avvertono la sua presenza fra loro; vuole da noi degli esperti di Chi è Gesù in mezzo a noi. E solo se siamo degli esperti di Lui, possiamo essere per molti anche suoi testimoni».

Ciò che sorregge la possibilità di un’esistenza profetica in tempi bui è un’interpretazione della prudenza che per entrambi i testimoni smascherò in modo inequivocabile la menzogna di una falsa prudenza: «Ciò che rovina certe anime – scrive Chiara nel 1958 – è una falsa “prudenza” […]. Sembra una virtù ed è più antipatica del vizio. Non vuole scuotere nessuno. […] Consiglia i santi a moderarsi, perché potrebbe capitar loro qualcosa. Si isola ed isola, questa prudenza, come una morsa, perché nasce dalla paura. […] Ci fu uno che non la ebbe mai. Fu Cristo Gesù».

Similmente Bonhoeffer sostiene che l’uomo saggio, colui che vuole vivere in modo adeguato alla realtà, contesta quel presunto realismo che ha il sapore della difesa dei propri privilegi e si pone al riparo dal rischio dell’azione disconoscendo la fecondità storica del perdono, della sofferenza e dell’amore dei nemici.

La Parola al centro

[…] Ancora in profonda sintonia con Bonhoeffer, troviamo la raccomandazione di non accostarsi alla Parola solo per averne consolazione nei momenti difficili: «Il Vangelo non è un libro di consolazione ove ci si rifugia unicamente nei momenti dolorosi per averne una risposta, ma il codice che contiene le leggi della vita, di ogni circostanza della vita […]. Perdono allora valore, o cadono nel nulla, tutti gli aspetti che ogni attimo della vita comporta (dolorosi, gioiosi, comuni, straordinari), e gli uni al confronto degli altri risultano indifferenti, mentre appare importante solo il Cristo che con la sua parola li riempie e li vive».

Ed è per questo motivo che Chiara parla della «Parola che ci vive», sottolineando ancora di più che il vero soggetto è la Parola stessa che vive in noi e ci rende simili a Cristo.

Ascolto del fratello e vita comune

[…] L’attenzione accordata da Bonhoeffer al tema del discernimento e alla vita comunitaria, emerge con chiarezza già nelle lezioni semestrali tenute nel seminario per predicatori di Finkenwalde e nei vicariati collettivi tra il 1935 e il 1939 di cui sono espressione i noti testi di Sequela e Vita comune. Di fronte alla seduzione delle abbaglianti priorità proposte dall’ottica dell’efficientismo e della visibilità dei risultati, persino all’interno della Chiesa, egli reagisce con l’esigenza della formazione della interiorità personale. Il tempo concesso alla preghiera e alla meditazione non conosce priorità maggiori, perché riguarda qualcosa che ha a che fare con le radici dell’esperienza credente. Soltanto ravvicinate relazioni di quotidiana fraternità, inoltre, possono aiutare a mettere in discussione la difesa di sé, che rappresenta la fonte di ogni tipo di inimicizia. La violenza si sconfigge alla radice proprio quando si osa mettere in discussione che l’altro sia un concorrente, un tendenziale nemico da cui è necessario difendersi.

[…] L’attenzione alla vita comune, nei termini appena delineati, consente di richiamare la costituzione dei “focolari”: piccole comunità, composte da tre a sette persone che mettono in comune beni spirituali e materiali secondo lo spirito dell’Unità e continuano la loro attività nel mondo, rispecchiando la vita della “casetta” iniziata da Chiara a piazza Cappuccini a Trento nel 1944. La vita comune non è improntata sulla scelta dei fratelli con cui si avverte particolare sintonia: «L’amore era esteso a tutti: non esisteva più limite a questo amore. Si amava non per simpatia o per interesse, ma perché Lui lo aveva comandato. Non distinguevamo più i parenti ed i vicini, gli amici ed i nemici, i belli ed i brutti, i ricchi ed i poveri, gli uomini e le donne: vedevamo in tutti fratelli d’amare servendo, per dare a Dio il contributo d’amore sincero».

[…] Il fratello è visto come sacramento di Dio, l’amore come servizio, la carità è «la norma delle norme, la premessa di ogni altra regola»: «Il prossimo è un altro te stesso e come tale lo devi amare».

[…] Mi piace concludere sottolineando che Dietrich Bonhoeffer e Chiara Lubich, pur con sensibilità e sottolineature diverse, hanno condiviso in prima persona la comunione con Gesù Abbandonato. In essa hanno trovato nutrimento per la loro sequela, in essa hanno scoperto il lievito che fermenta in una nuova umanità in cui tutti, cristiani e non credenti, possono incontrare l’abbraccio perdonante di Dio.

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