Cambiare le regole del gioco

Non sarà venuto il tempo di tassare la speculazione finanziaria? L’appello di 130 economisti.
Operatori in borsa

Mentre si cerca di trovare una via di uscita dagli effetti distruttivi della finanza speculativa si consolida, nel panorama culturale internazionale, l’idea di un’economia di comunione. Una scuola di pensiero riconosciuta anche a livello accademico, che offre una lettura originale a partire da una concezione dell’essere umano non ridotto, come nell’analisi finora dominante, al singolo svincolato da ogni legame sociale. E comincia a vacillare la fede semplicistica nella presenza misteriosa della “mano invisibile” del mercato che aggiusterebbe tutto. 

A ridosso dell’ultimatum di 72 ore, di fine ottobre, intimato dai vertici europei al governo italiano per indicare nel dettaglio le misure da adottare per evitare il rischio di bancarotta, Città Nuova online ha interpellato diversi esperti di questo movimento economico, per indicare una via di uscita a un Paese al centro dell’attenzione di mercati finanziari ormai al di fuori di ogni controllo.

 

 

Alcune risposte hanno chiamato in gioco proprio il fatto che ogni giorno si creano enormi profitti con lo spostamento di masse di denaro virtuale, slegate da ogni attività imprenditoriale in grado di generare lavoro e benessere per tutti. Così mentre si discute di tagli insopportabili per le famiglie e lo Stato sociale, esiste una gigantesca roulette che macina profitti senza alcun merito. Tassare queste rendite, per di più in maniera ridottissima, lo 0,05 per cento, sarebbe insignificante per gli operatori estranei ai movimenti speculavi, ma farebbe recuperare risorse importanti per la giustizia sociale e la solidarietà internazionale. Un’idea antica, del premio Nobel James Tobin, ancora nel 1972, estesa e attualizzata da un vasto movimento di associazioni che vede, in prima linea, l’appello di 130 economisti italiani; tra i primi firmatari Luigino Bruni, Stefano Zamagni, Leonardo Becchetti e Benedetto Gui. Una proposta che il nostro Paese potrebbe sostenere a cominciare da quel livello europeo che è il primo da riformare per uscire dalla crisi. Il tempo sembra maturo per l’evidente incapacità del mercato di autoregolarsi.

 

Idee, non dogmi, che invitano al dialogo serio e aperto, ma che non andranno avanti senza un coinvolgimento della società intera. Non basta la delega.  

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