Brexit: possibile il rinvio fino al 22 maggio

Il Consiglio europeo ha concesso una proroga fino al 22 maggio, sempre che la Camera dei Comuni ratifichi l’accordo Brexit.

Il Consiglio europeo ha  accettato di posticipare l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea (Ue), finora prevista il 29 marzo, al 12 aprile o al 22 maggio, giusto in tempo per le elezioni del Parlamento europeo, che si svolgeranno tra il 23 e il 26 maggio, senza il Regno Unito. Il Consiglio europeo ha infatti respinto la richiesta del primo ministro britannico, Theresa May, di estendere il periodo di negoziazione dell’ormai famoso articolo 50 al 30 giugno, dopo che la Camera dei comuni ha respinto per la seconda volta l’accordo Brexit da lei negoziato con l’UE, dopo un primo voto a gennaio.

Il Consiglio europeo ha condizionato il rinvio ad un’approvazione dell’accordo da parte della Camera dei Comuni. In caso questo non avvenga, come sembra probabile, il Regno Unito avrebbe tempo fino al 12 aprile per presentare un piano alternativo o lasciare l’Unione Europea senza un accordo. Altrimenti il Regno Unito dovrebbe prendere parte alle elezioni del Parlamento europeo.

Donald Tusk, Presidente del Consiglio europeo, ha dichiarato che fino al 22 maggio «tutte le opzioni resteranno aperte» e che il governo del Regno Unito potrà ancora scegliere tra un accordo di uscita dall’Ue, un’uscita senza accordo, una lunga proroga per un ulteriore negoziato o revoca l’articolo 50 e non abbandonare più il blocco europeo.

Tutte queste opzioni comportano dei rischi. Se la Camera dei Comuni approvasse l’accordo Brexit, resterebbe aperta la questione del cosiddetto backstop, cioè l’apertura transitoria ma indefinita del confine nordirlandese, che di fatto lascerebbe l’Irlanda del Nord sottoposta alle regole di Bruxelles.

Se la Gran Bretagna decidesse di lasciare l’Ue senza un accordo ci sarebbe una situazione di confusione, se non di panico, con un impatto sulla vita quotidiana dei residenti, dei cittadini britannici in Europa e dei cittadini europei in Gran Bretagna, ma anche delle imprese e dell’economia britannica ed europea nel complesso.

La situazione è talmente confusa e, oramai, rischiosa, al punto che Lindsay Hoyle, un vice speaker della Camera dei Comuni, ha scritto a tutti i parlamentari dicendo che la polizia metropolitana sarebbe impegnata a garantire che «i deputati possano votare in Parlamento senza paura». Addirittura, è stato raccomandato ai parlamentari di muoversi per le strade in gruppo, essendo questi a rischio di intimidazioni di ogni sorta.

Se il Regno Unito chiedesse una proroga per riaprire il negoziato, semmai l’Ue fosse disponibile, bisogna chiedersi a quale scopo ciò avverrebbe, dato che l’attuale accordo è stato finora presentato come il migliore possibile e nessuna delle due parti ha un piano alternativo.

In tal caso, il Regno Unito dovrebbe partecipare alle elezioni europee e, quindi, i brexiters e gli euroscettici avrebbero gioco facile ad esacerbare una campagna elettorale sulla quale soffia già il vento dei populismi e della retorica contro gli eurocrati di Bruxelles che soffocano gli Stati sovrani, al punto che anche i vescovi europei hanno lanciato un appello al voto. Così, la Brexit diverrebbe il fulcro della campagna elettorale, mentre l’Ue ha questioni ben più importanti da affrontare, come quelle riguardanti l’ambiente, l’energia, il commercio internazionale, il lavoro, il benessere, il proprio posto nel mondo. Inoltre, molto probabilmente, i nazionalisti inglesi vedrebbero crescere il numero dei propri eurodeputati eletti all’assemblea di Strasburgo, che si aggiungerebbero ai tanti altri euroscettici che verranno eletti negli altri 27 Stati membri.

Se il Regno Unito decidesse di revocare l’articolo 50, magari anche attraverso un secondo referendum, ugualmente i brexiters e gli euroscettici attaccherebbero l’Ue, quella matrigna che impedisce ai propri figli adottivi di lasciare la casa. Ugualmente, il Regno Unito parteciperebbe alle elezioni del Parlamento europeo con tutte le conseguenze del caso.

La situazione si ingarbuglia sempre più; chi troverà il bandolo della matassa? Non certo Theresa May, che si è mostrata incapace in tutto ed avrebbe dovuto rassegnare le sue dimissioni già da tempo. Neppure gli attuali deputati della Camera dei Comuni, alla quale sarebbe proposto un ruolo accresciuto nei futuri negoziati, sembrano all’altezza del compito, divisi anche all’interno dei rispettivi partiti sul da farsi. I negoziatori europei hanno fatto il possibile ma, adesso, sarebbe conveniente per l’Ue liberarsi della zavorra inglese; d’altronde, la questione Brexit è stata sollevata dagli stessi britannici ed ora gli stessi britannici non sanno risolverla.

Inoltre, per quanto riguarda il sistema democratico, bisogna considerare che un requisito della partecipazione democratica è la conoscenza e l’informazione che possiede chi vota. Ricordiamo che la parola più cercata sui motori di ricerca, dopo la vittoria del leave al referendum del 2016, fu “Ue”: informarsi dopo aver votato, soprattutto in un tempo nel quale siamo bombardati da fake news, i cittadini dovrebbero farsi un’opinione prima di votare, sebbene possano comunque cambiarla dopo.

Infine, è indubbio che la mancanza di leadership a livello europeo stia impedendo all’Ue di stare al passo con i tempi, di affrontare i bisogni dei cittadini che solo in un blocco continentale coeso possono trovare risposte, di assumersi le proprie responsabilità nel mondo, di assicurare una visione del proprio futuro.

 

 

 

 

 

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