Bombe nucleari in Italia. Perché?

Intervista a Lisa Clark di “Beati i costruttori di pace” sugli ordigni atomici presenti nelle basi Usa di Aviano e Ghedi Torre

Il presidente statunitense Donald Trump ha annunciato l’intenzione di voler potenziare l’arsenale nucleare Usa. L’“orologio dell’Apocalisse” si accosta alla mezzanotte, secondo la rappresentazione che gli scienziati dell’università di Chicago hanno escogitato dal 1947 per indicare la fine del mondo. Settanta ordigni nucleari si trovano anche in Italia, nelle basi Usa di Aviano (PD) e Ghedi Torre (BS). Il fatto è rimosso dall’informazione corrente. Sulla questione abbiamo intervistato Lisa Clark, di Rete disarmo e co-presidente dell’International Peace Bureau di Ginevra.

Come mai esistono bombe nucleari sul territorio italiano? In passato ce ne sono state tante, forse non sapremo mai quante. Ma gli accordi di disarmo tra Usa e Urss portarono all’eliminazione totale  delle  armi  nucleari  a raggio intermedio (Trattato Inf ), che costituivano le strutture nucleari principali in  Europa. Furono tutte rimosse, già nei primi anni ’90. Nel 2005, grazie a un’indagine della Federazione degli scienziati atomici statunitensi, saltò fuori la notizia della  presenza  di  alcune  decine di bombe B61 in due aeroporti in Italia. Si trattava all’epoca di 90 bombe a gravità, costruite negli anni ’60, custodite smontate, che i principali analisti non esitavano a definire rimasugli della Guerra fredda. Erano circa 50 nella base Usaf di Aviano, da caricare sui cacciabombardieri Usa, e circa 40 a Ghedi, da usare con i Tornado italiani del 6° stormo.

Cosa è cambiato da allora? È diminuito il numero ma ne restano probabilmente 40- 50  ad Aviano e una ventina a Ghedi. Abbiamo cercato di capire il motivo di queste bombe: avendo letto tante interviste a generali Usa che le dichiaravano assolutamente inutili («oggi la Russia è un alleato», oppure «non servono come deterrenza perché ci vorrebbero molte settimane per prepararle all’utilizzo»), ho sempre pensato che rappresentassero per i governi italiani, un simbolo del ruolo dell’Italia, che voleva considerarsi un alleato un po’ più importante degli altri, una sorta di alleato “super partes”. Invece negli ultimi anni, con il riacuirsi delle tensioni a Est, la presenza di queste bombe è diventata più preoccupante.

In che senso? Intanto è partito in Usa un progetto di ammodernamento, con la scusa di eliminare rischi di sicurezza nella custodia. E così abbiamo letto che l’ammodernamento si rende necessario affinché queste bombe possano essere usate con i nuovi caccia bombardieri F35 di cui si doterà l’Aeronautica militare statunitense, e forse anche l’Italia. Una violazione dello spirito, e anche della lettera del Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp), che il governo italiano dice di voler difendere. Nel Tnp gli Stati parte si impegnano a lavorare per il proprio disarmo, e a non sviluppare nuovi armamenti nucleari, perché aggiungere nuovi armamenti ai propri arsenali è da considerarsi “proliferazione”. I nuovi B61-12 sono appunto un’arma nuova, di una categoria superiore, perché non saranno più bombe a gravità (il velivolo scarica la bomba dalla pancia e questa cade dove la porta  la gravità), ma bombe con un sistema direzionale nella coda, guidati da un computer.

Cosa avete fatto con le reti associative? Alcuni anni fa (nel 2007-2008) un’ampia coalizione di associazioni italiane raccolse le firme necessarie per una legge d’iniziativa popolare, che aveva come obiettivo quello di far dichiarare l’Italia Paese libero da armi nucleari. Le firme furono consegnate alla Camera dei deputati, ma quella proposta di legge è rimasta in un cassetto, e poi decaduta alla scadenza della legislatura, nel 2013.

Forse perché utopica… La proposta l’avevamo copiata da una legge costituzionale dell’Austria: non era quindi farina del sacco di ingenui nonviolenti e disarmisti. Infatti, assieme ad Irlanda, Messico, Brasile, Nuova Zelanda, Sudafrica, Indonesia e altre nazioni, l’Austria è uno dei Paesi leader dell’“Iniziativa umanitaria”, che è riuscita a raccogliere l’adesione della stragrande maggioranza degli Stati membri dell’Onu per arrivare all’adozione di uno strumento giuridicamente vincolante nella proibizione delle armi nucleari che porti alla loro totale eliminazione. Non verranno eliminate né oggi né domani, ma la volontà della maggioranza degli Stati e – cosa ancora più importante – della stragrande maggioranza dei popoli, prima o poi raggiungerà il suo scopo.

 

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