Avanti onesti!

L’uso privatistico delle istituzioni è un male da estirpare. Rapidamente.
Parlamento

C’è un cuore nella questione del malaffare, il costume politico che ogni giorno inonda la stampa; un cuore che vorremmo afferrare. Il Paese pare attanagliato da un’invasione di “allegri furbetti”, annidati dappertutto, che si muovono con agio e con sempre meno scrupoli e cautele, mostrando il piglio scanzonato di chi ha il diritto e la possibilità di decidere chi deve fare cosa, pensando di poter muovere persone e incarichi come fossero pedine, elargendo prebende e aprendo crediti per il (proprio) futuro. Non è una tavolata estiva di Risiko, è (purtroppo) uno spaccato della vita istituzionale del nostro Paese. Il cuore è qui. Oramai non è più un sintomo, è diventato una malattia: l’uso privatistico delle istituzioni.

Qualche lustro fa si sentiva il bisogno che l’Italia riscrivesse gli equilibri pubblico-privato, nel senso di una restituzione al cittadino della sua centralità e del riposizionamento dell’apparato pubblico in funzione servente. Da sudditi a cittadini, si diceva. Con l’aiuto dell’integrazione europea, almeno a livello di acquisizione culturale, sono stati fatti grandi passi in questa direzione. Ma ora si accusa addirittura un rovesciamento, che sfocia nel dileggio dell’apparato pubblico e istituzionale, che diventa funzionale al perseguimento degli interessi di parte, fino alla corruzione vera e propria.

 

Colpiscono le dichiarazioni di un politico mite e accorto come Giuseppe Pisanu, già ministro dell’Interno ed ora presidente della Commissione parlamentare antimafia: «Non credo di esagerare se dico che è il Paese ad essere corrotto». Parole forti, che dovrebbero chiamare ad una ribellione. Parole che si fondano, sì, sulla pervasività del malcostume nelle istituzioni e sulla diffusione capillare della criminalità (‘ndrangheta, Cosa nostra e camorra in ordine d’importanza), che ogni anno, prosegue Pisanu, «riversano su tutta l’Italia fiumi di danaro sporco, che vengono immessi nell’economia legale con l’attiva collaborazione di pezzi importanti della società civile: liberi professionisti, imprenditori, banchieri, funzionari pubblici e uomini politici a ogni livello». E di ogni colore, bisogna aggiungere: il malaffare è rigorosamente bipartisan. Le analisi della Corte dei Conti, il rapporto del Commissario anticorruzione, la classifica stilata dall’agenzia Transparency International, confermano tutto. Un solo dato: le denunce per corruzione nel 2009 sono aumentate del 229 per cento rispetto all’anno precedente.

 

Ma quelle parole, prima di provocare l’indignazione, vanno capite. Se è “il Paese”, cioè tutti noi, ad essere corrotto, prima di indignarci e di chiuderci sulla difensiva, domandiamoci quanto l’usura delle parole “pubblico” e “istituzionale” possa aver contagiato noi e chi sta attorno a noi. Domandiamoci: cosa faremmo per far vincere un concorso a nostro figlio? Cosa per accedere ad un finanziamento e realizzare un progetto, magari di volontariato? Cosa per ottenere una commessa di lavoro? Cosa per risparmiare sulle tasse e forse sui contributi previdenziali della colf? Soprattutto domandiamoci qual è il criterio che presidia la nostra scelta del candidato, al momento del voto: lo scegliamo per quello che “farà per noi” o per quello che farà per tutti? Valutiamo, oltre le sue parole, il suo modo di rapportarsi con il partito e con la funzione che ambisce a ricoprire? Insomma, proviamo a prendere coscienza che la questione morale non è solo un affare “di caste”, ma qualcosa che attraversa il Paese fin dentro le case degli italiani, a volte inconsapevolmente.

 

Nell’intera vicenda, è la classe politica, naturalmente, che gioca e deve giocare un ruolo determinante, sia perché è la politica che dà le regole e può reagire provocando l’inversione di tendenza, come prova la storia di altri Paesi; sia perché lo stile con cui politici e partiti svolgono il loro compito è ciò che fa la differenza. E di certo, in mezzo a tanta degenerazione, incoraggiano i risultati che Guardia di finanza, magistratura, forze dell’ordine stanno ottenendo sul fronte della lotta all’evasione fiscale e alle varie cosche; ma si deve evitare qualunque agire schizofrenico.

 

Occorre poi esigere da politici e partiti il rigore istituzionale e il rispetto di un codice etico che non si limiti alla coincidenza con il codice penale. Come? Recuperando un senso civico diffuso, autentico e generoso, sapendo che la generosità, in certi luoghi del Paese e in certe situazioni, può arrivare all’eroismo. Perciò è necessario essere compatti attorno a quanti compiono il proprio dovere, testimoniando una vicinanza solidale con l’impegno in prima persona, facendo “rete” e moltiplicando così le forze.

Ma, prima ancora, occorre saper dire di no a qualunque pur piccola illegalità o furberia. Così potremo esigere dai nostri politici altrettanto distacco. Certamente chi legge queste righe è su questa lunghezza d’onda. Ricominciamo tutti, dalle piccole alle grandi cose, vincendo possibili frustrazioni, a ri-costruire la vita pubblica, la politica e, con essa, le istituzioni dell’Italia.

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