Arte, la febbre di Filippo de Pisis

Non esiste una poetica così frammentata eppure unitaria come quella di de Pisis nell’arte italiana del Novecento. Mostra a Roma, Palazzo Altemps, fino al 20 settembre
de Pisis

Ogni volta che mi trovo davanti ad una tela o a un disegno di Filippo de Pisis avverto un’arte sfrangiata in mille punti, sciolta come punte di colore, scintille di luce ora scura ora chiara, fittissima e poi più distesa.

Sono come i versi del giovane Ungaretti, stille dell’anima e delle parole. Non esiste una poetica così frammentata eppure unitaria come quella di de Pisis nell’arte italiana del Novecento. Certo, l’artista ferrarese è uno che ha viaggiato, ha vissuto la vita dinamica parigina, incontrato pittori e scrittori, ma il suo animo è rimasto sostanzialmente lo stesso. Dall’inizio nel 1896 alla fine nel 1956 in una casa di cura, la sua ipersensibilità ha manifestato un desiderio anche tormentato di sciogliersi nella bellezza: della natura dei volti degli ambienti.

 Il Ponte di Rialto è una Venezia in filamenti, il Ritratto del marinaio francese è un primo piano sbigottito di due occhi a punta tra il vagare dei colori sulla tela, il Gladiolo spezzato su cartone forse rappresenta uno dei  vertici della sua poetica.

Il viola illanguidito nella morte richiama vita ma pure struggimento, ossessione per un colore, i l viola-rosa, sconcertante.  Colpi di pennello come frecce, stilizzazione che negli ultimi dipinti si riduce a linee esili e appuntite.

Non c’è, come si diceva, un’arte come la sua nel Novecento, una poesia anche carnale – certi  dipinti di Vasi di fiori materici son carne e ossa che squillano aggressivi -, però  attenta a un trascendimento di sé stessa in scintille colorate, nelle linee musicali dei disegni,  accennate, che rimandano a persone e ad incontri.

De Pisis è sé stesso nella nevrosi, nell’inquietudine che genera composizioni mai vaste, quadri di dimensione modesta o breve: fibrillazioni di una sensibilità estrema  a cui non basta nemmeno la più ricercata raffinatezza per esprimersi pienamente.

Ed ecco allora l’infittirsi delle linee, il ”bosco” o meglio “ la selva” oscura che gli impedisce di vedere i marmi candidi del  Ponte di Rialto e lo offusca nel reticolato dei segni come una pioggia.

Cosa vuol dire de Pisis oltre a questo? L’ha cercato tutta la vita. La sua pittura stupefacente, amorosa sino allo spasimo o all’ebbrezza, insegue qualcosa e non lo raggiunge mai. Coglie fiori, persone, luoghi ma nell’attimo. De Pisis vuol fermarlo in stelle di luce e di colore. Tuttavia gli sfugge. Di qui il tormento bellissimo dei suoi quadri, la sua musica alla Debussy,  la pennellata che accenna più che spiegare, il verso-pennello spezzato come quelli di un Apollinaire.

Tutto è fremito. La rassegna a Roma di 26 dipinti e una selezione di carte e pastelli fa incontrare l’uomo e l’artista. Un evento da non perdere. (catalogo Electa) Fino al 20/9

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