Ancora sul reddito di cittadinanza

Riceviamo e pubblichiamo una lettera del senatore Steni Di Piazza, parlamentare del M5S e vice presidente commissione Finanze e Tesoro del Senato
ANSA / ARCHIVIO

Gentilissima Direttrice,

in queste ultime settimane ho spesso letto sul Suo autorevole giornale diversi interventi, di giornalisti ed opinionisti, sul reddito di cittadinanza.

Ne apprezzo la linea editoriale aperta ad una dialettica, aperta e franca, nel rispetto delle opinioni di tutti e favorevole a condurre un dibattito costruttivo nell’interesse del bene comune.

Ho letto l’ultimo articolo di Alberto Ferrucci dal titolo “7 o 56 miliardi di Cittadinanza” e constato che ancora, purtroppo, c’è pochissima informazione sul reddito di cittadinanza.

Desidero allora intervenire per partecipare a questo interessante dibattito sul Reddito di Cittadinanza e cercare di portare un po’ di chiarezza, cosciente che il suo giornale , notoriamente super partes, mi concederà lo spazio necessario per esprimermi.

Lo scorso 24 Ottobre 2017 il parlamento europeo ha approvato una nuova Risoluzione  in ordine al reddito minimo come strumento per combattere la povertà e l’esclusione sociale: «Tutti gli Stati membri dell’Ue introducano regimi di reddito minimo adeguati, garantendo anche l’accesso all’alloggio, all’assistenza sanitaria e all’istruzione, nonché fornire sostegno ai bambini, ai disoccupati, alle famiglie monoparentali e ai senzatetto».

Lo prevede una relazione non legislativa approvata dalla plenaria dell’Europarlamento, a Strasburgo, con 451 voti favorevoli, 147 voti contrari e 42 astensioni.

In particolare in Italia, si legge in uno studio allegato da Strasburgo alla nota, il sostegno al reddito non appare adeguato ad affrontare i bisogni delle persone e delle famiglie in difficoltà, «a causa del basso livello di sostegno e per la copertura molto bassa, dovuta alle condizioni molto stringenti che limitano le nuove misure solo alle famiglie con necessità multidimensionali in condizioni economiche di estrema deprivazione».

Il Parlamento europeo, con l’approvazione di questo documento, ha inteso fare pressione sulla Commissione Europea affinché affronti l’argomento. Strasburgo in questo modo ha proposto ai Paesi membri di fissare una cifra minima di reddito, basandosi sulla soglia del rischio di povertà e su altri indicatori Eurostat.

“Ad aiutare le persone più fragili deve essere lo Stato”.

Anche papa Francesco spesso fa riferimento alla   cultura dello scarto e dello spreco: «Una sottocultura che ha consumato l’uomo contemporaneo, fino a renderlo indifferente e autoreferenziale, fino a farci considerare come immodificabili le grandi ingiustizie del mondo globale: a partire dalla più grande di tutte, quella per cui i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, aumentando in misura esponenziale, laddove eravamo ormai abituati ad un benessere sempre più largo e sempre in crescita».

Il reddito di cittadinanza vuole essere una tentativo per eliminare dallo stato di indigenza centinaio di migliaia di persone e diminuire lo stato di povertà assoluta di milioni di cittadini italiani.

La Manovra appena predisposta mantiene la promessa di introdurre un reddito di cittadinanza per le fasce più deboli della popolazione. A tal proposito vengono stanziati 10 miliardi già a valere sul 2019, comprensivi dei 2,5 miliardi recuperati dal vecchio Rei (Reddito di inclusione) introdotto dal precedente Governo ma economicamente troppo leggero.

C’è ancora chi dice che i soldi non ci sono, che in realtà il meccanismo costerebbe addirittura 50 e più miliardi. Si tratta di affermazioni non vere, che continuano a non tenere conto del funzionamento razionale della misura.

L’informazione, data in buona fede da parte di Alberto Ferrucci, che conosco e stimo per il suo impegno a favore degli indigenti attraverso il progetto Economia di Comunione, è che tutti i cittadini sotto la soglia di povertà partiranno da un reddito zero nell’ottenimento dei 780 euro,  niente di più sbagliato.

È sin troppo semplice far notare che moltissimi soggetti partono da redditi esigui, ma certo non pari a zero, la cui integrazione arriverà a restituire la cifra di 780 euro. Le risorse per finanziare queste integrazioni, quindi, saranno giocoforza più contenute.

E anche sui numeri mi sembra corretto fare chiarezza una volta per tutte.

Chi critica il reddito di cittadinanza sostiene che non ci sono i soldi per andare incontro a 10 milioni di poveri. Dalle tabelle Istat risulta inoppugnabilmente che nel 2017 le famiglie povere sono 1 milione e 778 mila, mentre le persone in povertà sono 4,7 milioni di persone.

Inutile quindi attribuire a 10 milioni di persone il diritto a percepire il reddito di cittadinanza.

Il  reddito di cittadinanza sarà subordinato all’analisi dell’Isee del singolo soggetto e delle famiglie. Chi ha già una casa di proprietà, per esempio, si vedrà scontato dai 780 euro mensili il valore di un affitto figurato. Operazione che quindi abbasserà l’assegno da erogare, contribuendo a rendere tutta l’impalcatura più sostenibile.

I 780 euro andranno ai singoli in situazione di povertà. L’aiuto alle famiglie, invece, seguirà una sorta di ponderazione, com’è avvio che sia. Se il nucleo è composto da due membri, per esempio, è chiaro che l’assegno non potrà corrispondere a una semplice moltiplicazione 780 X 2, ma sarà sicuramente più ampio dei 780 euro riservati al singolo. E così a salire per i nuclei di 3, 4, 5 persone.

Il reddito di cittadinanza non andrà ai cosiddetti “pelandroni“, né favorirà un parallelo lavoro nero. Il percettore, infatti, dovrà impegnarsi in rigorosi corsi di formazione e in lavori a favore della collettività: dovrà essere tutto il giorno impegnato alla ricerca di un lavoro. In più, se si rifiuta di accettare tre proposte consecutive di lavoro avanzate dai Centri per l’impiego, perderà il diritto al trattamento.

Si dice che non ce la faremo a riformare in tempo i centri per l’impiego. Credo che sia compito primario del Governo fare funzionare le strutture esistenti.

Perché in Germania, in Francia, in Olanda, ma anche i Spagna,  i centri per l’impiego funzionano e da noi no? Bene, analizziamo le causa ed interveniamo per rimuoverne le cause di inefficienza.

Il Governo ha previsto 2 miliardi di euro per rimodulare e rinnovare entro i primi mesi del 2019 buona parte degli attuali 500 Centri per l’impiego, dotandoli di collegamenti informatici e di personale più qualificato. In questa direzione è già in fase avanzata l’interlocuzione con il Commissario per l’Italia Digitale.

Anche il sistema bancario e delle imprese si è reso disponibile a collaborare con il Governo per un avvio efficiente dei Cpi.

Non è colpa mia se «I ricchi di “oggi” sono molto più ricchi dei ricchi di “ieri” e i poveri sono più poveri dei poveri di “ieri”», ma lo sarà sicuramente se non farò   nulla per tentare di ridare speranza, a chi non ce l’ha,  di aspirare ad un lavoro e ad una vita dignitosa.

Steni Di Piazza

Parlamentare 5 stelle, vice presidente Commissione Finanze e Tesoro del Senato

Per un quadro generale del dibattito cfr articolo di Città Nuova

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