Amaro zio Vania

Sinfonia, sempre emozionante, di un’umanità inadatta al consorzio umano, lo Zio Vania di Cechov si compone di tante storie, all’interno di una vicenda senza azioni, che affiorano dalle sole parole. Il protagonista, esempio della rinuncia e dell’impotenza morale, insieme alla nipote Sonia ha amministrato per anni la proprietà terriera del cognato, il professore Serebriakov, verso cui entrambi nutrono un cieco amore. Zio e nipote giustificano così la loro grigia esistenza, nella quale l’unica amicizia è quella del medico Astrov, amato senza speranza da Sonia. Ma l’arrivo del professore, ormai in pensione, con la sua giovane moglie Elena, distrugge le loro illusioni rivelandosi egli uomo mediocre e ingrato. Inoltre la bella Elena, civettando con Vania e Astrov, risveglia rimpianti e amarezze, innescando in tutti una miccia che fa scatenare sentimenti fino allora frenati. Quando i due ripartiranno, anche l’eco dei colpi di pistola esplosi a vuoto da Vania contro il cognato si sarà spenta nelle memorie inutili di questa rassegnata sofferenza dell’esistere. Le speranze di una vita migliore sfumano verso un domani che non sarà diverso dall’oggi, lasciando invece, in noi spettatori, un ottimistico desiderio di vivere la vita riempendola di senso. L’allestimento, pur pregevole, di Sergio Fantoni non va oltre la “lettera” dell’opera cechoviana. Sulla ristretta scenografia di pedane oblique delimitate da un tendaggio e alcuni mobili, la rappresentazione fila spedita, senza indulgere ai famigerati “silenzi” e a quell’atmosfera di noia – riflesso di anime infelici – che tradizionalmente pervadono il grande testo; né snidando l’anima comica presente in Cechov. Bravi comunque Andrea Giordana (zio Vania) e Francesco Biscione (Astrov), che ce la mettono tutta per dare corpo alle psicologie dei loro personaggi. Ma Laura Nardi non ha le doti della fatale incantatrice Elena, e continua a recitare come fosse la giovanissima Nina vista nel Gabbiano secondo Nekrosius.

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