Al Mariinsky, il New York City Ballet

Avevamo appena recensito a luglio la deludente esibizione romana del New York City Ballet, ma si presentava a ranghi ridotti che ne penalizzavano la qualità dello spettacolo. La verifica della loro fama e dell’eccellente stato di salute della compagnia fondata da George Balanchine l’abbiamo avuta – non senza una certa emozione – proprio in quel luogo, il Teatro Mariinsky a San Pietroburgo, dove il grande coreografo – di cui ricorre il ventennale della scomparsa – mosse i primi passi artistici (prima allievo, poi ballerino e compositore) per poi emigrare nel “Nuovo Mondo” dove sviluppò idee di danza innovative per tutto il balletto del Novecento. Qui diede vita ad una compagnia celebre in tutto il mondo, della quale resse le sorti ininterrottamente per 45 anni. Ultimo genio dei Balletti Russi di Diaghilev, Balanchine tradusse per gli americani in termini di astrazione e modernità la sua cultura di coreografo fedele alla tradizione imperiale russa sviluppatasi sulle idee di Petipa e Fokine. Uomo di vasta cultura e di solida preparazione musicale (“Nei miei balletti – ripeteva – dovete vedere la musica e sentire la danza “) egli condusse la grande accademia sul terreno della purezza neoclassica. Attento interprete degli umori di una società dinamica, veloce e scanzonata, impose un modello fisico di ballerina dalle linee allungate, eleganti, dalle punte infallibili; e, sul versante maschile, uomini atletici che rispecchiavano la fisionomia dell’americano medio. A conclusione del festival Stars of the Whithe Nights, diretto da Valery Gergiev, il New York City Ballet al gran completo, con i suoi sessanta elementi, costituiva l’evento più atteso della città sulla Neva che festeggia i suoi trecento anni di vita. Il programma comincantata” prendeva titoli significativi della sua evoluzione coreografica. Tra quelli visti Serenade (1934), Symphony in Three Movements (1972) e Symphony in C (1947). Nella trasparenza azzurra di una scena spoglia Symphony in C, su musica di Bizet, ricrea in quattro movimenti strutturati altrettanti aspetti della vita. Serenade, su musica di Ciaikovskij, vive in un clima notturno, fra esseri lunari e tutù: un omaggio alla tradizione tardo-romantica, ma senza nostalgia per il passato perché vi troviamo già lo stile americano. Il disegno floreale, movimentatissimo, dei quattro tempi, che esplode con il gran valzer della coppia centrale, fa resistere il balletto nel tempo con un suo peso esemplare. Sulla partitura di Stravinskij la Sinfonia in tre movimenti è un’architettura umana fatta di intrecci dove i moti gestuali coincidono perfettamente con quelli musicali; e le immagini si snodano come per germinazione. Reazione entusiasta di un teatro gremito all’inverosimile per un evento unico. Una gioia degli occhi e dello spirito, condivisi dal pubblico e dai ballerini. Perché tutto con Balanchine diventa equilibrio e armonia, giovinezza e invenzione, ricchezza e leggerezza. Soprattutto se a restituirceli è la sua formidabile creatura: il New York City Ballet.

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