86 anni e 63 monasteri

L’aeroporto di Colombo è come sempre caldo ed accogliente. Ed ora, con la tregua fra i guerriglieri tamil ed il governo, ha una veste ancora più rilassata. Il controllo passaporti fila via liscio in un baleno, e all’esterno i sorrisi cancellano il deserto degli anni scorsi, costellato di mitra puntati. Non so perché, ma arrivare in Sri Lanka fa sempre piacere: sarà la gente accogliente e sempre serena, anche negli anni della guerra, o forse la natura così variegata e sempre lussureggiante. Forse anche il buddhismo ha instillato in questa parte di mondo, già di per sé di una bellezza incomparabile, un tocco che infonde un senso di pace che scende nel profondo del cuore. Con Marc, un vecchio amico che arriva da Madras, prendiamo subito il pullman per la capitale, dove ci hanno prenotato i biglietti per il treno che porta ad Anuradhapura. Arriviamo con largo anticipo alla stazione centrale di Colombo, dove Raveen e Shanti Sagara, due amici cingalesi, ci attendono al binario giusto con i titoli di viaggio. Raveen ha l’aria scanzonata dell’eterno adolescente, ma è ormai sulla mezza età, sposato e con quattro figli già grandi. Ha una storia da romanzo: ha combattuto la guerriglia degli studenti degli anni Settanta. Ha conosciuto la prigione e i maltrattamenti della polizia; e, soprattutto, ha visto morire decine e decine di amici in scontri cruenti. Negli ultimi anni, dopo aver incontrato Shanti Sagara, impegnato in un progetto sociale in favore dei bambini di strada, si è buttato anima e corpo a lavorare in un settore che gli permette di realizzare appieno gli ideali di giustizia che porta nelle vene. È proprio attraverso di loro che anni fa avevo incontrato vari monaci buddhisti di Anuradhapura, impegnati nel sociale, con progetti di collaborazione che avevano avvicinato Raveen e Shanti Sagara a un mondo, quello dei monasteri, altrimenti piuttosto allergico al cristianesimo. Altri mi avevano spiegato che, sia pure senza scontri frontali, buddhismo e cristianesimo in Sri Lanka non sempre avevano raggiunto una convivenza serena. Tutta colpa, come spesso accade, di retaggi coloniali, quando insieme a eserciti, amministrazione e prodotti vari, l’occidente aveva finito per esportare la propria cultura ed imporla a mondi ad essa alieni. Cultura richiama visione del mondo, lingua, modo di trattarsi fra essere umani, tradizioni ed usanze; tutti aspetti dove il proprio rapporto col divino dice la sua ed in definitiva determina una visione della vita ben precisa. Il feeling, che molti dei popoli di questa parte di mondo ancora hanno, è che l’occidente abbia esportato cristianesimo mescolato ad altri elementi, finendo con l’imporre una religione a scapito di quella che la storia locale aveva, per millenni, insegnato alla gente. Il rapporto fra buddhismo therawada e cristianesimo risente in questa parte di mondo della storia dei secoli scorsi ed i rapporti, anche se non pessimi, sono spesso difficili, in un contesto dove si tende a vedere lo Sri Lanka come il paese dei cingalesi e quindi dei buddhisti. Il dialogo è tuttavia possibile quando si colgono le tante espressioni comuni che le diverse fedi propongono a uomini e donne di ogni angolo della terra. Con i monaci del monastero di Anuradhapura, che visiteremo ancora una volta, è nato proprio questo tipo di rapporto di amicizia, iniziata nei progetti comuni per bambini sfortunati, ma proseguita poi anche a livello di vero dialogo di idee ed esperienze religiose. Non è facile per dei cattolici entrare nel cuore di un monastero buddhista, convivere con i monaci ed arrivare a consumare i pasti con loro. Quando ciò accade, è un segnale molto significativo di reciproca fiducia e stima. E questo è successo con il reverendo Matara Sri Vimalaratana, un anziano monaco di 86 anni. La figura minuta e quasi trascurata lo fa passare per uno dei tanti che hanno fin dall’infanzia deciso di seguire la strada del Buddha, per arrivare alla illuminazione che significa guadagnarsi il nirvana. Ma Matara Sri Vimalaratana non è una persona da poco. Ha sotto di sé 63 monasteri della Amarapuram Nikaya, uno dei tre filoni principali del buddismo therawada dell’isola. 63 monasteri, vogliono dire migliaia di monaci e l’avere sede ad Anuradhapura, l’antica capitale del paese, aggiunge prestigio alla persona. Ma egli ha voluto defilarsi nella estrema periferia della città, ben lontano dal grande complesso della vecchia cittadella dove i turisti stranieri ed i fedeli buddhisti possono ammirare o pregare nei templi del triangolo sacro che cul- mina con il Tempio del bodhi-tree, l’albero cresciuto dal ramoscello che la figlia dell’imperatore indiano Ashoka, protettore e propagatore del buddhismo nel sub-continente, portò sull’isola due secoli prima di Cristo. L’anziano monaco vuole così dimostrare il suo distacco sia dal potere che dal denaro, e nessuno potrebbe dire che la sua influenza sia così riconosciuta. Per due giorni saremo suoi ospiti, invitati a partecipare ad un momento significativo: l’ordinazione di otto giovani monaci. Ci incontriamo la mattina successiva al nostro arrivo ad Anuradhapura. Ci accoglie con un abbraccio e con parole calde: “Grazie di essere venuti da lontano a trovarmi ancora una volta “. Entriamo nella sua abitazione, semplicissima. Ma subito chiede se abbiamo visto le novità all’esterno; in particolare gli sta a cuore il piccolo padiglione che ha fatto costruire appositamente per la funzione dell’indomani. Tutto è tirato a lucido, la sabbia è pettinata a dovere ed il camminare scalzi da un piacere lieve e rilassante. Poi, improvvisa, una domanda che è anche un invito: “Ho un sogno, potete aiutarmi a realizzarlo? Perché non mettiamo insieme persone con una mentalità comune di diverse religioni e ci incontriamo per tre giorni? Potete darmi una mano a trovarle? Ci vorrebbero persone come noi”. L’idea piace a tutti ed ha subito il sapore dell’ispirazione. Parliamo a lungo di come si potrebbe fare e dove e con chi, e sembra quasi che il sogno sia già realtà. È in tale clima che ci si prepara alla funzione del giorno successivo. Le domande che facciamo danno adito a risposte interessantissime: un corso accelerato di buddhismo therawada vissuto in prima persona. Il giorno seguente, sulla strada del monastero, superiamo di gran carriera la lunga processione che con varie centinaia di persone accompagna gli otto ordinandi verso il tempio, quasi a presentarli a tutta la cittadinanza. Il monastero pullula di gente: un centinaio di monaci di tutte le età, di cui il più giovane avrà sì e no dieci anni, mentre il più anziano non si regge nemmeno in piedi, ma lo portano egualmente in giro, in modo che tutti lo possano salutare; donne vestite in bianco che si prostrano ai piedi dei monaci che benedicono infondendo pace e sicurezza di meriti per la prossima vita; i politici, fra cui il presidente della regione ed il sindaco” Tutti prendono posto sul palco, ma sono i monaci a salire per primi e ad accomodarsi, seguiti dai politici che, prima di sedersi, si prostrano in segno di rispetto. Il messaggio è chiaro per tutti ed anche logico: sono i monaci che hanno la vera autorità. I politici lo sanno, e così pure la gente. E poi il corteo arriva con danze bellissime e canti e costumi incantevoli. Gli otto monaci, quasi tutti giovani, ed un paio ormai sulla quarantina, sono tutti seduti su un camioncino. Appariranno in pubblico solo al pomeriggio, quando i discorsi saranno terminati. È dopo il pranzo, che i genitori li accompagnano, sotto una pioggia scrosciante nel nuovo salone costruito per l’occasione: lasciano il figlio ai piedi degli scalini. Nessuno può varcare quella soglia, solo i monaci ordinati e quelli che lo saranno fra poco. Tutto si svolge all’interno, in un profondo senso di mistero; eppure la gente, stretta sotto i pochi ombrelli disponibili, segue in silenzio, con rispetto, quasi ascoltando ciò che nessuno riesce a percepire. Smette di piovere, ma ormai si fa buio. Siamo rimasti in pochi sulla spianata del monastero. Continua la cerimonia all’interno, mentre la gente s’incammina verso casa. Sulla stradina, infangata dalla pioggia, una lunga fila di gruppetti di persone: monaci con le loro tonache arancio, uomini e donne con i sarong bianchi immacolati, bambini ed anziani: uno spaccato di un mondo, quello buddhista, che unisce festa e mistero, sacralità e semplicità di famiglia. Ci siamo anche noi, una razza diversa, una religione che sembra non avere nulla in comune con quella di questa gente. Eppure non si può negare di aver vissuto una giornata che ha parlato al cuore di Dio e del suo amore per ogni uomo.

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