2 belle storie al Festival del cinema

Sono i film presentati da Roberto Andò, col suo thriller fantapolitico, e Pierre Schoeller, con una storia al tempo della rivoluzione francese

Tra le storie, recenti e passate, del festival di Venezia, una è il bel film di Roberto Andò, fuori concorso, Una storia senza nome. Un thriller fanta-politico, ma non troppo, incentrato sul furto del Caravaggio a Palermo nel 1969 e mai più ritrovato. Sulla scomparsa ci hanno giocato in tanti, pentiti e non, e non si sa se lo Stato abbia trafficato con i malavitosi o meno. Tutte cose che nel film si squadernano con misura e un ritmo sapiente, anche grazie a Micaela Ramazzotti (finalmente un ruolo più maturo) e Alessandro Gassmann, la prima come segretaria di una casa di produzione cinematografia ambigua («Il legame tra cinema e mafia c’è sempre stato», si dice ad un certo punto), l’altro nel ruolo di uno sceneggiatore sciupafemmine che ne sfrutta il talento. Il gioco tra le vicende personali dei due e l’intreccio mafia-stato è costante, pericoloso e lascia stupiti che ancora ci siano così tanti misteri nella nostra politica legata alla malavita. Il film si pone quindi anche come un atto di denuncia, per far riflettere.

Storia più antica è quella della Rivoluzione francese, su cui i nostri cugini tornano periodicamente (per autocelebrarsi?). Questa volta è Pierre Schoeller che in Un peuple et son roi ruota intorno al rapporto tra Luigi XVI e il suo popolo. Dalla Bastiglia alle Assemblee, fino alla decapitazione del re, tutto si svolge come una necessità fatale, una fretta della storia di vendicare secoli di ingiustizia e affermare i diritti dell’uomo. La novità del film, privo della solita retorica, sta nella convinzione che la storia la fanno le persone: la lavandaia, il vetraio, il parroco che pianta l’albero della libertà, i tribuni Marat, Danton e Robespierre, le passioni dei singoli uomini e del re, il cui sguardo sgranato e cupo rimane nella memoria. Da rivedere.

 

 

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