Zani: da Chiara Lubich un nuovo modello educativo

Quando era maestra, la fondatrice dei Focolari non umiliava chi sbagliava, ma accudiva ogni alunno, cercando di capire e risolvere i problemi. Per il segretario della Congregazione per l'Educazione cattolica della Santa Sede andrebbe approfondita, anche dal punto di vista scientifico, questa dimensione generativa dell'educazione.
Chiara Lubich

«Spero proprio che il Centenario della nascita di Chiara Lubich aiuti a capire il modello educativo che viene fuori» dal carisma dell’unità, «che è diverso rispetto a quello tradizionale, perché è un modello puntato sull’idea di un Dio Trinità». Il 22 gennaio prossimo ricorreranno i 100 anni dalla nascita della fondatrice del Movimento dei Focolari e monsignor Vincenzo Zani, segretario della Congregazione per l’Educazione cattolica, auspica che si possa sviluppare ulteriormente il suo contributo in campo pedagogico.

«Avevo letto quel volume (Essere educatori, coraggio di una presenza, di Michele De Beni, Città Nuova editrice, ndr) sulle esperienze di maestra di Chiara e mi ha sempre colpito la testimonianza di quel signore molto anziano che era stato suo alunno. Raccontava che quando c’erano degli errori, degli sbagli, la maestra Chiara non interveniva per umiliare, ma si dedicava tutto il tempo a quel caso singolo attraverso un percorso, un dialogo, un accompagnamento, un capire i problemi e cosa c’era dietro. Questo è l’educazione».

Oggi, spiega l’arcivescovo, negli organismi internazionali si discute proprio del passaggio dall’insegnamento all’apprendimento, che «vuol dire mettere al centro i bambini, ma questo diventa estremamente impegnativo per l’educatore, perché è molto comodo andare in classe a fare lezione e non interessarsi dell’altro. Ma se tu – da insegnante – diventi colui che accompagna l’obiettivo del tuo intervento, è molto più grande il lavoro. Va ripensata l’educazione stessa».

Il modello educativo di Chiara Lubich, spiega Zani, «è diverso rispetto a quello tradizionale, perché è un modello puntato sull’idea di Dio Trinità. Questo fa pensare a un’educazione che non sia soltanto diadica, ma triadica: educare significa rimanere aperti sia a chi è educato, sia a una dimensione terza, che è la dimensione generativa dell’educazione, che è tutta un’altra cosa, è nuova e va approfondita. Va studiata dal punto di vista scientifico: qualche piccolo cenno in qualche autore c’è, ma va portata avanti maggiormente. Spero che, nel Centenario, questa cosa venga presa e rilanciata».

Monsignor Zani, perché è importante il patto educativo lanciato da papa Francesco?
Il papa, con questa iniziativa, dà continuità a una serie di interventi che ha fatto in questi anni. L’educazione per papa Francesco è uno dei temi principali. Lì si vede cosa ha vissuto nella grande città di Buenos Aires, nelle situazioni disagiate. Gli interventi che fa nel campo educativo sono di livello teorico, ma frutto di un’esperienza difficilissima vissuta in quel contesto. Questo ci aiuta a capire quando lui raccomanda di promuovere un’educazione che unisca la mente, il cuore e le mani, che non sia solo un’educazione teorica o emotiva ed emozionale, ma che porti a un cambiamento, a un servizio, a un impegno. Questi sono tutti concetti dell’educazione. Allora, da una parte il patto educativo dà continuità a tutto questo, dal Concilio ad oggi. Dall’altra, il papa sta rispondendo a una forte richiesta che viene non solo dal mondo cattolico, ma dal mondo ebraico e dal mondo musulmano.

Ci spieghi meglio.
Tanti si rivolgono a lui e chiedono che si dica una parola significativa su questo argomento. Ho incontrato delle persone che hanno detto: “Vogliamo fare qualcosa col santo padre”. Ne ho parlato con lui, che mi ha detto: “Bene, facciamolo”, e da lì è partito tutto.

Quindi un dialogo religioso in ambito educativo…
Tutto questo è sintetizzato nel messaggio del 12 settembre. Si parte dalla Laudato si’, col compito di custodire la casa comune. Per fare questo abbiamo bisogno di un’alleanza educativa: che tutti ci mettiamo insieme perché stiamo vivendo un cambiamento epocale, sempre più veloce e sempre più rapido. In tutto questo, l’educazione ha bisogno di tempi diversi, più lenti, di spazi, luoghi, momenti. Bisogna che tutti ci mettiamo insieme: non solo gli educatori, ma le famiglie, gli economisti, i sociologi… Per educare ci vuole un villaggio, serve la sinergia della comunità, ma anche ribadire la centralità della persona, svilupparne tutte le dimensioni, educare al servizio, al bene comune. C’è un invito a tutte le espressioni della vita sociale, civile e politica, a concentrare le proprie forze, le proprie energie, su un disegno dai tempi medio-lunghi.

Accanto all’impegno educativo c’è quello contro gli abusi sui minori. Papa Francesco ha dato una scossa alla Chiesa…
Sì, è stata una scossa doverosa, positiva, ma in un certo senso in continuità con quello che è accaduto prima. C’è una presa di coscienza drammatica di questi fenomeni e bisogna rimboccarsi le mani e rispondere. Non aver paura di confrontarsi con questo problema, che è uno scandalo: lo sappiamo bene e chiediamo perdono.

Ora, come lei dice, bisogna dare risposte.
Dobbiamo rispondere! Quando è esploso questo fenomeno, la Santa Sede – con Ratzinger cardinale della Congregazione per la dottrina della fede e anche noi presenti –, ha chiamato i massimi esperti a livello mondiale per studiarlo, perché era nuovo. Ne è emerso un quadro sociologico e statistico del mondo che era terribile. È stato come togliere i veli su un fenomeno che in minima parte coinvolgeva la Chiesa, secondo i dati statistici, che però erano i più scandalosi. Tutti i luoghi erano coinvolti: scuole, sport, arte… Tutti erano contaminati da questo fenomeno. È stato scioccante, lo ricordo bene.

Come bisogna procedere?
Dobbiamo ripensare i nostri modelli educativi e la formazione, con una presa di coscienza fortissima. Questo è successo 15, 17 anni fa, poi gradualmente si arriva a dire, come si spiega anche nel libro Custodire l’infanzia (Città Nuova editrice, ndr) : cominciamo a vedere cosa fare con lo psicologo, il sociologo, il pedagogista… perché è un problema che coinvolge tutta la comunità, è un problema sociale, ecco perché serve il villaggio educativo.

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