Volti di Palmira ad Aquileia

La prima mostra in Europa dedicata alla città siriana divenuta simbolo dello scempio del patrimonio culturale perpetrato dai guerriglieri dell’Isis
I resti di Palmira

Benedetta dispersione mondiale delle testimonianze storiche e artistiche delle varie culture e civiltà! Essa, oltre a renderle fruibili a persone che mai potrebbero affrontare lunghi e costosi viaggi per vederle in situ, ne assicura l’incolumità specie quando nei Paesi d’origine infuriano conflitti che, insieme a migliaia di vite innocenti, non risparmiano il patrimonio del passato.

Ancora vivide nella nostra memoria sono, riportate dai media, le immagini relative alla “pulizia culturale” intenzionale operata a Palmira, in Siria, dal terrorismo fondamentalista; ancora c’indigna l’atroce fine di Khaled al-As’ad, il direttore generale delle antichità di quell’antica città carovaniera, barbaramente decapitato per essersi rifiutato di collaborare rivelando dove aveva nascosto parte dei preziosi reperti custoditi nel locale museo.

Forse, quando la pace sarà tornata nel tormentato Vicino Oriente, sarà possibile qualche ricostruzione; ma come recuperare le tante opere distrutte o finite sul mercato clandestino? Rimangono per fortuna quelle “emigrate” nei musei e nelle collezioni di tutto il mondo, fra cui le stele e i ritratti funebri che hanno reso famosa Palmira per la loro tipicità.

E proprio alla metropoli del deserto siriano è dedicata Volti di Palmira ad Aquileia, la prima mostra in Europa dopo le distruzioni perpetrate dai guerriglieri dell’Isis. Fino al 3 ottobre il Museo Archeologico Nazionale della città friulana ospita sedici sculture palmirene provenienti da collezioni statali e private italiane e dal Terra Sancta Museum di Gerusalemme. Il confronto-dialogo con otto analoghi pezzi aquileiesi vuol dimostrare che, pure nella distanza geografica e stilistico-formale, un medesimo sostrato culturale accomuna le due città, mediante l’utilizzo di modelli iconografici affini.

«Sia Palmira che Aquileia – osservano Antonio Zanardi Landi e Cristiano Tiussi, presidente e direttore della Fondazione Aquileia – erano luoghi di tolleranza e fruttuosa convivenza tra culture e religioni diverse, oltre a essere testimoni che diciotto secoli fa il Mediterraneo costituiva un’unità integrata non solo dal punto di vista dei commerci, ma anche di quello della circolazione delle idee e dei canoni artistici e narrativi».

L’esposizione, arricchita dalla mostra fotografica Sguardi su Palmira di Elio Ciol, mi dà l’occasione per rivedere una vecchia conoscenza: la splendida lastra del Museo di Arte Orientale “Giuseppe Tucci” di Roma, dove la figura femminile vestita alla greca con tunica e mantello ha sul capo un turbante con velo trattenuto da un prezioso diadema, mentre il fanciullo alle sue spalle (il figlio?) è abbigliato alla moda partica, con tunica fino al ginocchio, orlo svasato alle estremità e pantaloni a sbuffo.

La visita mi trova fresco di lettura dell’ultima pubblicazione sulla città di Zenobia: Palmira. Storie straordinarie dell’antica metropoli d’Oriente (Edizioni Terra Santa). L’autrice Maria Teresa Grassi insegna Archeologia delle Province romane presso l’Università degli Studi di Milano, ed ha diretto la missione archeologica congiunta italo-siriana di Palmira dal 2007 al 2010. Un testo prezioso, il suo, anche perché descrive il sito nelle condizioni antecedenti l’occupazione da parte delle truppe del Califfato islamico.

Vi è narrata con agile sintesi la storia millenaria di una città che ebbe il suo suo massimo sviluppo in età imperiale romana, tra il I e il III secolo d.C., grazie ai i commerci in spezie, incenso, pietre preziose, seta, mirra… Mosaico di religioni diverse, cristiana con le grandi basiliche erette dal IV secolo in poi, islamica al tempo del califfato omayyade tra VII e VIII secolo, Palmira conosce un progressivo abbandono a partire dal IX secolo. Nel Settecento la scoperta delle sue rovine da parte di viaggiatori, studiosi e avventurieri europei contribuisce a diffonderne l’immagine come meta esotica. E infine il Novecento con i primi scavi e le successive ricerche e operazioni di valorizzazione da parte di numerose missioni internazionali. Un capitolo è dedicato anche alla Palmira “fuori Palmira”, ossia alle testimonianze dei suoi culti nella Roma imperiale, dove esisteva una consistente comunità siriana.

Esauriente la descrizione degli imponenti complessi pubblici, civili e religiosi palmireni, compresi quelli fatti saltare con cariche di tritolo: dal tempio di Baalshamin all Tetrapilo, all’Arco monumentale che scavalcava la stupenda Via Colonnata. Ma più di quella dei vivi è la città dei morti a farci conoscere la mentalità, i valori, la cultura, i rapporti familiari e tribali, le gerarchie sociali degli abitanti. Con le sue tombe collettive “a torre”, che hanno restituito migliaia di ritratti scolpiti nel calcare locale, essa costituiva uno dei complessi funerari più ragguardevoli di tutto l’Impero romano.

E qui mi riallaccio alla mostra aquileiese, dove accanto ad epigrafi e mosaici hanno un posto di rilievo i “volti” maschili e femminili provenienti dalle necropoli palmirene. Se scarsa è la rispondenza fisiognomica di questi esemplari, in compenso appaiono definiti nei minimi dettagli gli ornamenti (bracciali, collane, anelli, fibule, diademi decorati a sbalzo). Figure dallo sguardo ipnotico, trasmettono un senso di sicurezza e di compiacenza nella «serena certezza – aggiunge la Grassi – che la loro solida “casa dell’eternità” li avrebbe ospitati e protetti per sempre».

I più letti della settimana

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons