Il vizio delle elezioni

Ci risiamo: non contenta di aver creato nel 2011 il caos nel Paese, ora Parigi cerca di riprendere in mano il problema libico proponendo nuove elezioni. Memoria corta…
Etienne Laurent, Pool photo via AP

Va bene, i francesi hanno approfittato della crisi di governo italiana per convocare una conferenza sulla Libia dimenticando tutti gli sforzi fatti dai nostri governi da vent’anni in qua per risolvere il problema libico.

Va bene, Macron dimentica le enormi responsabilità francesi nell’attuale stato di caos del Paese, per lo sconsiderato attacco del 2011 che portò sì alla destituzione di un dittatore come Gheddafi, ma condusse il Paese dritto dritto verso l’attuale confusione, senza voler ascoltare militari e vescovi che sconsigliavano un attacco al buio. Va bene, qualcosa bisogna pur fare per fermare l’ondata migratoria che continua ad arrivare sulle coste italiane (non su quelle francesi)… Ma proporre ancora delle elezioni come panacea di ogni male, come soluzione di ogni guerra civile, come zenit di un processo di democratizzazione, mi sembra francamente troppo.

I fatti: il presidente francese, Emmanuel Macron, ieri ha invitato a Parigi i quattro principali attori sulla scena politica in Libia alla presenza dell’inviato speciale della Onu per la Libia, il franco-libanese Ghassan Salamé. Erano perciò presenti il primo ministro del governo di unità nazionale Fayez el-Sarraj, il maresciallo Khalifa Haftar, che ha il controllo della Libia orientale, il presidente della Camera dei rappresentanti a Tobruk, Aguila Salah e il presidente del Consiglio di stato di Tripoli, Khaled el-Mechri. Definendo l’incontro “storico”, Macron ha affermato che rappresenta “un passo fondamentale per la riconciliazione”.

Il documento in otto punti proposto da Macron, che tratta questioni politiche, economiche e di sicurezza, è stato approvato solo oralmente dai rappresentanti libici. Il che vuol dire che nei fatti resta carta straccia. Anche l’annuncio delle elezioni per il prossimo 10 dicembre pare una chimera. E se anche si realizzassero, se anche i libici andassero alle urne, non porterebbero a nulla, perché il sistema libico, martoriato da trent’anni di dittatura e da 7 di guerra civile, non è certo democratico, non ha i presupposti minimi per renderlo tale.

L’unico sistema che ancora funziona è quello tribale, se è vero che almeno una dozzina di milizie tribali funzionano, eccome, nell’attuale Libia. Alcuni osservatori sostengono che questo incontro è stato un modo per consolidare il peso politico del maresciallo Haftar, che è stato legittimato dall’incontro organizzato dalla Francia a La-Celle-Saint-Cloud, rispetto al premier al Sarraj, visto che la Francia lo ha sostenuto da lungo tempo, mentre Roma sosteneva quest’ultimo. Inoltre, a Parigi mancavano i capi di almeno una decina di fazioni, a cominciare dalla potente milizia di Misurata, o anche dalla governance della città di Zenten. La conferenza, perciò, non è apparsa sufficientemente inclusiva.

L’unica via di soluzione per la crisi libica, che lo si voglia o no, è una voce univoca e indipendente da interessi particolari dell’Europa. Ma purtroppo siamo ancora alla vecchia politica colonialista che crede di poter imporre sistemi politici lontani mille miglia dalle tradizioni dei singoli Paesi.

E che l’Onu si presti a queste operazioni, francamente lascia perplessi. Quando Italia e Francia, e l’Unione europea dietro a loro, lavoreranno di concerto, e mettere le condizioni perché i libici lavorino tra di loro, allora la Libia troverà forse una pace duratura.

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