Verità e dialogo: rapporto impossibile?

La crescente divaricazione tra il riferimento alla verità (nella pluralità dei suoi livelli di significato: verità fattuale, storica, etica, religiosa…) e il riferimento al dialogo.
L'incontro tra papa Francesco e Sheikh Ahmed el-Tayeb, Imam di Al-Azhar, al Cairo. Un significativo momento di dialogo tra mondo cristiano e mondo islamico (AP Photo/Amr Nabil)

Per tanti aspetti, la questione decidente del tempo che abitiamo è: verità versus dialogo? Dialogo versus verità? Lo si evince anche soltanto da un sommario sguardo sugli atteggiamenti che nell’agorà pubblica rischiano d’essere i prevalenti.
Costatiamo tutti la crescente divaricazione tra il riferimento alla verità (nella pluralità dei suoi livelli di significato: verità fattuale, storica, etica, religiosa…) e il riferimento al dialogo. Questo fatto va preso di petto e sviscerato criticamente. Non si possono lasciar andare avanti le cose così come stanno andando. Ne va di mezzo la tenuta della vita sociale, anzi il destino stesso della nostra società e in prospettiva della famiglia umana e della casa comune.
In effetti – questo il tentativo di diagnosi che propongo –, si è imposta un’accezione insufficiente, quando non distorta, anche perché ideologicamente viziata, del significato di entrambi – la verità e il dialogo – che ne pregiudica con gravi conseguenze l’intelligenza e la pratica. In due opposte ma in definitiva correlative direzioni.

Da un lato, il dialogo può esser inteso come ciò che interpreta l’epoca del pluralismo e della comunicazione globale che viviamo nei termini della coesistenza tra esperienze e concezioni differenti e persino inconciliabili della verità. Giungendo a teorizzare il relativismo: e cioè la costatazione di una pluralità di forme e di accessi della e alla verità che sono e restano separati e incomunicabili. Indebolendo così, sino a estinguerlo, il concetto di verità.
Con l’evidente – e sperimentato – rischio che simile presupposizione si rovesci nel contrario: nella surrettizia o conclamata intolleranza nei confronti di chi si mette alla ricerca di un approccio condiviso alla verità quale indispensabile criterio interiore e necessario orientamento convergente dei diversi sentieri in cui s’esprimono l’esperienza e l’intelligenza dell’umano. È questo che decreta l’assunto – diventato qua e là di moda – secondo cui siamo approdati nell’epoca della “post-verità” che esigerebbe la neutralità delle forme e delle procedure che reggono il convivere civile.

D’altro lato, assistiamo alla riaffermazione decisa e persino pugnace dei “diritti della verità”, di contro all’affermazione ritenuta buonista e debolista del dialogo. Ma troppo spesso questa posizione esprime non tanto l’apertura e la disponibilità al rischio sempre interpellante e spiazzante dell’obbedienza responsoriale e responsabile alla verità (perché con la verità è così!), quanto piuttosto l’esibizione e la chiusura nella propria identità in termini di esclusivismo nei confronti di altre vie d’accesso ed espressione della verità. Tanto che – anche in questo caso – il pericolo è quello dell’approdo all’intolleranza: che finisce col decretare l’ingresso in un’epoca tragicamente conflittuale.

A fronte di tale situazione, il Rubicone da attraversare è questo: esercitarsi con passione e convinzione, praticandolo, in quell’esercizio dell’umano autentico in cui la verità non si offre mai fuori del dialogo, così come il dialogo non si dà mai fuori della verità. Il che significa che il dialogo va inteso ed esercitato come la via della/alla verità; e che la verità costituisce la condizione di possibilità, l’atmosfera vitale e l’obiettivo di un dialogo che sia degno di tale nome. È la via che ci propone papa Francesco: quando parla della sfida e della chance di un paradigma nuovo nelle relazioni umane e sociali che abbia la sua forma nella “cultura dell’incontro tra le culture”.

La sorgente di questa via è quel Dio che Gesù ci rivela Abbà, Padre, il Dio che dice Se stesso nella sua Parola, il Figlio, e in questa Parola dice: «È bene che l’altro sia e che l’altro sia un altro me, distinto e diverso da me, certo, ma in relazione d’amore e di scambio di doni con me». Tant’è vero che quest’unica Parola si rifrange nella pluralità delle tante parole create che siamo noi: parole che la Parola fatta carne in Sé ricapitola e con la sua morte di croce e risurrezione restituisce ciascuna a se stessa nella loro inalienabile identità e nella loro libera unità. Nel soffio infinito di gioia e di vita dello Spirito Santo.

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