Uruguay libero dal fumo

Era un'emergenza nazionale. Si direbbe una calamità, per il numero delle vittime. Un esperto del ministero della Sanità, Helmut Kasdorf, lo espresse plasticamente: era come se ogni mese fossero caduti tre aerei, e i loro 450 passeggeri fossero tutti morti. In
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Era un’emergenza nazionale. Si direbbe una calamità, per il numero delle vittime. Un esperto del ministero della Sanità, Helmut Kasdorf, lo espresse plasticamente: era come se ogni mese fossero caduti tre aerei, e i loro 450 passeggeri fossero tutti morti. In Uruguay i tumori rappresentano la seconda causa di morte. Quelli ai polmoni mietono più vittime. E il fumo, si sa, è il principale colpevole: quasi un quarto della popolazione adulta fuma e il consumo di tabacco è in crescita tra i giovani e le donne. Secondo un dossier dello Sviluppo umano del programma delle Nazioni unite per lo sviluppo, l’Uruguay è il primatista sudamericano della specialità, con 1562 sigarette pro capite in un anno, equivalente a 16,5 giornaliere. Tra gli studenti delle scuole medie, il 55,7 per cento ha sperimentato il tabacco. E il 32,3 per cento dei giovani si dichiara fumatore, ha cioè fumato negli ultimi 30 giorni. Anche gli innocenti fumatori passivi pagano i cocci: tra il 10 e il 15 per cento dei decessi per malattie da tabacco sono inermi cittadini che hanno la sfortuna di star vicino a chi fuma allegramente una sigaretta. Davanti a un panorama così desolante, il presidente della Repubblica (un noto oncologo) non ha titubato, e nel febbraio 2006 ha promulgato un decreto che proibisce di fumare in tutti gli ambienti pubblici chiusi. I risultati sono stati subito sorprendenti. Non è stato necessario applicare le pesanti multe previste per i locali e i fumatori trasgressori, e i circa 200 ispettori tornavano a casa sistematicamente a mani vuote. Poche settimane dopo l’entrata in vigore della norma, un capillare sondaggio ha registrato che l’80 per cento della popolazione approvava il decreto. E gli effetti erano positivi: tra i fumatori, il 25 per cento dichiarava di fumare meno, il 67 per cento che si sentiva meglio, e il 63 per cento concordava con lo spirito del decreto. Secondo la percezione della gente, il grado di rispetto della legge è molto elevato: l’88 per cento degli intervistati nota un rispetto completo o con poche eccezioni. Il monitoraggio dei livelli di inquinamento dei luoghi di lavoro chiusi praticato in sette città del Paese, rileva una riduzione del 90 per cento dei livelli di contaminazione dell’aria rispetto alla stessa indagine realizzata in precedenza. Ma cosa è successo? E perché? Semplicemente, i fumatori, che sono cittadini civicamente responsabili, come la grande maggioranza degli uruguaiani, hanno deciso, quatti quatti, di fumare nei giardini, nei marciapiedi e sui balconi. Neppure negli uffici si sono verificati problemi. Il 92 per cento dei fumatori considera che i loro compagni abbiano diritto a lavorare senza respirare il fumo altrui. Il decreto non ha neppure previsto di stabilire l’obbligo di aree per fumatori: non erano necessarie. E i locali commerciali, i bar, le discoteche, i ristoranti? La maggioranza se l’è presa con filosofia. Eduardo Díaz, direttore della pizzeria Trouville, dice che la legge è risultata positiva per il suo locale: Credo che la gente si senta più comoda adesso. Molti dei nostri clienti sono giovani; fumavano troppo, e a molti adulti dava fastidio. Così finivano per andarsene presto dal ristorante, oppure si lamentavano coi camerieri. L’Uruguay è ora, orgogliosamente, più libero dal fumo. L’affare tabacco, legale o di contrabbando, è forte da queste parti. In molte occasioni dei disegni di legge per limitare i danni sono naufragati a causa delle pressioni delle imprese del settore e dei loro abili studi legali, oppure per le valutazioni di chi temeva di più i pericoli della crescita del contrabbando – e di conseguenza il calo degli incassi del fisco – che quelli del fumo. Ma la stampa ha svolto bene, questa volta, il suo ruolo di vigile, denunciando a più riprese le dimensioni del problema. E il governo ha serrato le fila nella lotta al tabaquismo. Per iniziativa del ministero della Sanità, sono stati obbligati i distributori di sigarette a stampare sui pacchetti avvertenze circa i pericoli per la salute. Avvisi che devono occupare almeno la metà della superficie esposta dell’involucro. Per le strade e sugli autobus campeggiano cartelli dello stesso tenore. È proibita persino la pubblicità (diretta o indiretta), attraverso qualsiasi mezzo di comunicazione . L’Associazione uruguaiana dei pubblicitari ha provato, timidamente, a protestare, dicendo che le agenzie che hanno come clienti imprese del tabacco risultano danneggiate. Ha quindi chiesto il permesso di realizzare azioni di marketing diretto. Il governo ha dato l’ok, ma solo su Internet, che a dire il vero non è stata invasa di pubblicità pro fumo. A tre anni dall’entrata in vigore della legge, i risultati attestano la validità delle scelte compiute: la vendita delle sigarette è scesa di oltre il 30 per cento, il consumo degli adolescenti si è ridotto dal 30 al 22 per cento, sono sorti oltre cento centri di aiuto per chi vuole lasciare il fumo. Ma la battaglia è ancora lunga.

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