Uomini e macchine

Una fabbrica sospesa tra chiusura e rilancio. La proposta Fiat e il bisogno di una nuova politica industriale.
lavoro

Contro ogni previsione, i lavoratori della Fiat di Pomigliano d’Arco a Napoli non hanno votato l’accordo proposto dall’azienda con una maggioranza schiacciante. Il 63 per cento dei consensi sembra non vincolante per la Fiat che lascia in sospeso il piano di investimenti di 700 milioni di euro destinati a riavviare una fabbrica dove si lavora, da tempo, solo pochi giorni la settimana. Lo stesso importo già impegnato per lo stabilimento di Kragujevac, in Serbia, dove, come ha dichiarato l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, sono bastate tre settimane per sciogliere ogni dubbio.

 

Così, secondo molti osservatori, la Panda prodotta in Polonia rappresenterebbe un esempio di delocalizzazione vincente per la multinazionale torinese che è riuscita a superare una crisi che solo pochi anni addietro, nel 2002, l’aveva condotta sul baratro della cessione della proprietà alle banche creditrici; mentre, ad inizio 2010, sono stati distribuiti 237 milioni di euro agli azionisti e aumentati i premi per i dirigenti. Ma le posizioni raggiunte, davanti ad una concorrenza aggressiva, non sono acquisite per sempre. Anzi. Secondo le previsioni di Marchionne, entro pochi anni resteranno in piedi solo quelle case automobilistiche in grado di produrre sei milioni di veicoli. Il piano industriale 2010-2014 della Fiat punta ad assicurarne un milione e 400 mila in Italia. Una quota di gran lunga superiore alla produzione attuale di 650 mila vetture. Una scommessa più che una certezza, considerando che la Fiat raggiunge, dati di maggio 2010, il 30 per cento del mercato italiano e il 7,8 per cento di quello europeo.

Le recenti operazioni societarie della Exor, finanziaria con cui gli eredi Agnelli controllano tutto il gruppo, hanno previsto la separazione del settore auto dalle altre attività industriali per attirare gli investitori. Sono questi che faranno affluire i capitali necessari nella possibilità di ricavarne un profitto.

 

Nel caso della Panda, da spostare a Pomigliano, i margini di guadagno si possono raggiungere solo con un’alta intensità di produzione. Ogni minuto perso vuol dire meno auto prodotte. I robot non possono fare tutto. Il fattore umano rimane significativo ma deve seguire il ritmo delle macchine. Occorrono tre turni nelle 24 ore, la disponibilità agli straordinari e la riduzione delle pause, oltre a un nuovo regime del trattamento di malattia e del diritto di sciopero.

Uno stato di fatto da accettare senza alternative: così, invocando il realismo dei rapporti di forza, sostiene la maggior parte delle sigle sindacali. Il governo, impegnato in una radicale riforma del diritto del lavoro, lo ritiene, invece, un accordo modello. Esito inevitabile anche per voci autorevoli del Pd. Si tratta di scongiurare un’altra Termini Imerese, lo stabilimento siciliano della Fiat destinato a chiudere a fine 2011 con le Y10 dirottate verso la fabbrica modello di Tichy in Polonia.

Il dissenso della Fiom Cgil e del sindacalismo di base è stato perciò visto come una posizione irragionevole destinata a scomparire davanti al referendum. Anche la tesi della violazione di diritti costituzionali da parte del regolamento Fiat non ha visto tutti i giuristi concordi. È stata rilanciata l’immagine distruttiva di una fabbrica del Sud da rieducare, piena di assenteisti. E non di un capitale umano da valorizzare. Tutte queste polemiche hanno, tuttavia, avuto il merito di prestare una nuova attenzione alla condizione del lavoratore e alla sua dignità. Non ignorando che, fuori dai cancelli di quella fabbrica, e non solo al Sud, si è già verificata l’abrogazione di fatto di molti diritti costituzionali.

 

L’economista Luigino Bruni, per Pomigliano, ha indicato la necessità di una nuova sintesi in grado di non escludere quella parte del sindacato “tradizionale” che ha costruito, assieme ad altri, la democrazia. Cogliendo, con tale parola, il bivio davanti a cui si trova il sindacato: deve trattare solo le condizioni necessarie per attirare nuovi investimenti oppure dovrebbe incidere nelle scelte di politica industriale di lungo termine? Quelle scelte che rispondono alle domande: su quale tipo di produzione investire? Che tipo di macchina? Per quanti anni ancora si crederà possibile salvare l’occupazione fabbricando milioni di auto?

La Fiat ha segnato molto della storia d’Italia, non solo nelle scelte dei trasporti di massa. La proprietà ha “ancora” un volto riconoscibile – la famiglia Agnelli – mentre in altri contesti migliaia di persone sono licenziate da interlocutori anonimi.

Recenti dichiarazioni di Marchionne sulla responsabilità sociale d’impresa, che hanno segnato una discontinuità con il passato, meritano ora di essere riprese in un confronto che non sia concentrato solo sulle diverse opzioni “offerte” ai dipendenti. Ricordiamoci che la Polonia non è solo il luogo dove un operaio si paga 450 euro al mese, ma anche il Paese da cui è partito un movimento improntato dall’etica della solidarietà. Che aspetta ancora di essere applicata.

 

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