Uomini che odiano le donne

Un poliziesco intrigante e di successo. Una fotografia della società di oggi e di domani. O no?
Articolo

Il giallo nordico va di moda. In questi ultimi anni, gli italiani appassionati del poliziesco hanno potuto gustare una quantità crescente di libri scritti da autori scandinavi. Alcuni dei quali sono usciti dalla ristretta cerchia degli appassionati del genere, per scalare le classifiche generali di vendita, facendo concorrenza ad autori più conosciuti ed affermati. Uomini che odiano le donne (tradotto da Marsilio) è un esempio di successo oltre le previsioni. Scritto da un perfetto sconosciuto, Stieg Larsson, fa parte della categoria di libri che riescono a tenere svegli fino all’alba, inchiodati alla lettura. E questo nonostante le sue 676 pagine! Per capire il titolo, basta una delle notizie che introducono le varie parti del libro: in Svezia il 18 per cento delle donne al di sopra dei quindici anni è stato minacciato almeno una volta da un uomo. Larsson denuncia una realtà sempre sottostimata, ma presente in modo più o meno appariscente in tanti rapporti. Il libro non approfondisce il perché di questo fenomeno, si limita a scandire con queste notizie l’avanzare della narrazione, quasi a ricordare al lettore che la storia è di fantasia, ma la violenza in giro è reale. Nel libro gli uomini fanno in effetti una pessima figura, in quanto sono quasi tutti classificabili in due sole categorie: violenti, limitati e meschini (la maggioranza), oppure gentili, idealisti, ma incapaci di prendersi responsabilità (la minoranza). Soprattutto sembrano in difficoltà nel capire e accettare il diverso. Le vere protagoniste della narrazione – e, sembra dirci l’autore, della storia dell’umanità – sono invece le donne: sensibili, presuntuose e complicate, ma alla fine solo loro capaci di padroneggiare sentimenti (sia odio che amore), relazioni e scelte di vita, anche in campo professionale. La storia è forse mediocre, i due protagonisti invece sono azzeccati e molto simpatici, anzi quasi irresistibili, tanto che qualcuno si è domandato come potrà continuare a vivere dopo la fine della lettura del romanzo. Lui è Mikael Blomkvist, giornalista quarantenne di gran successo con le donne, onesto e implacabile contro la corruzione, coinvolto in un caso poliziesco apparentemente irrisolvibile. Lei è l’imprevedibile Lisbeth Salander, ventiquattrenne pallida di una magrezza da anoressica, acuta ancorché problematica, dotata di qualità capaci di portare chi la conosce sull’orlo della disperazione. Insieme fanno una coppia indimenticabile, per una storia che continua anche nel secondo – La ragazza che giocava con il fuoco – e nel terzo libro (in uscita in questi giorni), della trilogia chiamata pomposamente Millennium. C’è una grande assente nella narrazione: la famiglia cosiddetta naturale, quella per intenderci composta dai due sposi con i loro figli. Forse Larsson non ha potuto sperimentare nella sua vita – è morto poco dopo aver completato la trilogia – cos’è una bella famiglia unita, capace di crescere insieme pur in mezzo ai tanti guai della vita. Le famiglie del libro infatti o sono concentrati di intrighi, risentimenti e tradimenti o semplicemente non interessano. Nelle 1430 pagine fin qui uscite, il protagonista Mikael dedica alla sua famiglia, la moglie da cui è separato e la figlia, solo due, ripeto due, righe, per spiegare che non è un padre modello. Violenza a parte, le persone coinvolte nella storia sono invece costantemente impegnate in tutti i triangoli e combinazioni possibili di amori omo ed eterosessuali. Il tutto con molto rispetto, leggerezza e naturalezza ma, nonostante lo sforzo – politicamente corretto – dell’autore, l’impressione è che anche nel terzo millennio senza la famiglia non si vada molto lontano. La sensazione è che, tolta questa cellula fondamentale, nella società triste e fredda rimangono solo individui in fuga dalla solitudine, sballottati qua e là dai casi senza senso della vita, con l’amore usa e getta come antidepressivo. Sembra di leggere i cosiddetti gialli con l’anima dell’americano Michael Connelly, con il protagonista che alla fine di ogni storia si ritrova sempre solo, stupito di non riuscire a trovare modi, pensieri ed azioni efficaci per mantenere un rapporto stabile e soddisfacente con moglie e figlia. Nonostante lo desideri fortemente. Durante la lettura del libro di Larsson, mi è tornato alla mente un piccolo episodio capitatomi anni fa, al tempo della discussione sui dico. In treno, seduto davanti a me, un giovane africano elegante in giacca e cravatta leggeva su un giornale italiano l’articolo che riportava la proposta dei dico, ridacchiando tra sé e sé. Ogni tanto alzava gli occhi per incontrare i miei finché, non resistendo alla esigenza di condividere con qualcuno i suoi pensieri, mi guardò e sorridendo mi disse: Nel lungo periodo sappiamo che le civiltà nascono, crescono e poi finiscono, superandosi nei secoli l’una con l’altra. Una volta voi europei eravate davanti a noi, il nostro modello. Ci avete insegnato a rispettare la donna, ad amarne una sola, restandole fedeli tutta la vita. Ora invece state tornando indietro e la nostra civiltà vi passerà avanti . Poi ha riabbassato la testa sul giornale e, continuando a leggere l’articolo, ha mormorato: Sono pazzi questi europei. Forse il declino della civiltà occidentale è effettivamente inarrestabile. O forse è solo la gestazione lunga e faticosa di una nuova consapevolezza personale, di un nuovo rapporto tra donna e uomo. Sicuramente Lisbeth è giovane, ne ha già passate tante, ma sta imparando. Alla svelta. E ci sorprenderà ancora. In positivo spero.

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