Università pubblica vicina o eccellente?

Lasciate alle spalle le notti insonni prima degli esami di maturità, a molti studenti e alle loro famiglie resta ancora da risolvere un tipico rebus estivo: quale facoltà scegliere? dove andare a studiare? come superare il test di selezione? Bisogna orientarsi tra nuove facoltà, nuovi corsi di laurea, nuove sedi; sono 77 le università riconosciute dallo Stato, 3264 i corsi di studio avviati, 545 le facoltà. Un vero dedalo generato da un processo di frantumazione dei grandi atenei pubblici e di dispersione sul territorio, iniziato negli anni Ottanta e cresciuto a ritmo sempre più intenso negli ultimi dieci. Certamente, l’apertura di sedi decentrate ha alleggerito i grandi atenei, avvicinato l’università agli studenti, allargato la rosa di coloro che vi si iscrivono e facilitato forme di scambio con i contesti locali. Tuttavia, questa incontrollata frantumazione ha anche favorito localismi e provincialismi, impedendo agli studenti esperienze didattiche di qualità, in contesti culturali vivaci e stimolanti. Oggi questo processo, oneroso per il bilancio pubblico, ha ormai superato il punto di non ritorno. Così, il nuovo governo cerca di correre ai ripari, con il rischio, però, che il rimedio anziché curare dia il colpo di grazia al malato. Il Decreto Legge Tremonti (n. 112, del 25 giugno), che verrà convertito in legge in questi giorni, inciderà pesantemente sul sistema universitario. Esso prevede un forte taglio al Fondo di finanziamento ordinario (500 milioni di euro in tre anni); limita drasticamente la sostituzione dei docenti che vanno in pensione con nuovi docenti (ogni dieci, due); consente agli atenei di trasformarsi in fondazioni di diritto privato, avviando un processo di affrancamento dallo Stato e di maggiore autonomia. La manovra va modificata o il destino dell’università è segnato – afferma il presidente della conferenza dei rettori Decleva -. La sua portata risulterebbe dirompente e non sopportabile. È facile immaginare che sopravviveranno gli atenei più solidi, le strutture di eccellenza, magari riducendo il numero degli studenti e si otterrà per via economica quello che in tanti anni non si è saputo gestire con un progetto politico serio per l’università e la ricerca. Quale futuro avrà allora l’università pubblica? Come far sì che essa torni ad essere luogo di ricerca, di formazione, di crescita civile? È urgente che queste domande, ignorate dai media e dall’opinione pubblica, tornino ad appassionare le componenti più sensibili del Paese. A partire dalle aspiranti matricole.

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