Una pausa di riflessione

Succede di rado, ma succede ogni tanto nella vita di una persona che un evento forte e doloroso, imprevisto, interrompa lo scorrere abituale del nostro quotidiano e costringa a un cambiamento di rotta, o comunque ad una pausa di riflessione che può rivelarsi determinante per aprire un nuovo corso nella nostra vita. Può essere un lutto che ci colpisca nel profondo, o la presa di coscienza di un nostro grave errore con conseguenze irreparabili. Può trattarsi anche di un evento fausto. Non importa. Il fatto si è che da quel momento niente è più come prima. Succede anche ai popoli, benché più di rado, ma succede, nel male e nel bene: può trattarsi della perdita di una guerra o della riconquista della libertà. Può accadere dopo una grande catastrofe naturale o per un attentato luttuoso e traumatizzante come quello delle Torri gemelle. È come giungere ad un capolinea dove si deve cambiare binario e ripartire per una nuova direzione. L’abbiamo sperimentato a suo tempo in Italia con il ritorno della democrazia e la ricostruzione dopo le distruzioni della guerra e la fine della dittatura. Lo abbiamo visto accadere più di recente nei paesi liberati dall’ipoteca sovietica, che hanno ritrovato una nuova fiducia in sé stessi e nei valori della solidarietà che l’unità europea ha fatto rinverdire. Proporzioni fatte, forse abbiamo visto anche in questi giorni qualcosa di simile, pur in mezzo ai lampi di guerra e agli scoppi degli attentati. Così è sembrata a me la partecipazione degli italiani alle onoranze tributate ai caduti di Nassiriya; una partecipazione al dolore unanime, vera, profonda. Di colpo hanno taciuto le diatribe infinite e senza costrutto che intristivano la nostra vita politica quotidiana, vanificando ogni volta qualsiasi tentativo di dialogo. Si è imposto il silenzio, dignitoso e partecipativo. E le poche voci che abbiamo udito, davanti all’eloquenza muta del dolore, erano finalmente concordi, come la commozione che nessuno sapeva né voleva nascondere. Si trattava di carabinieri e soldati, volontari, consapevoli del rischio che correvano e che, a prescindere dal giudizio politico sulla missione, avevano scelto di esporsi per contribuire a ricostruire il tessuto civile iracheno. Ciò è stato loro fatale, ma gli iracheni hanno potuto capire e distinguere. Alcune circostanze, poi, hanno riportato in evidenza immagini e significati che parevano da tempo cancellati. Nel momento del riconoscimento della nazione al sacrificio di queste vite, si è riscoperto il senso di una bandiera che sembrava destinata soltanto più a infiammare gli stadi. Financo la parola patria è uscita dal limbo di certa retorica per farci ritrovare il valore di una storia che ci invita a perdonare e a chiedere perdono, ma che non possiamo rifiutare mentre vogliamo condividerla con le patrie altrui. Questi ragazzi ci faranno amare di più anche l’Iraq e gli iracheni per i quali sono morti. E la volontà degli stessi feriti di ritornare per completare la missione iniziata, testimonia la loro fede in un’idea di pace. Parole come “maturità nuova, consapevolezza, autentica unità nazionale” sono state pronunciate anche da esponenti dell’opposizione, sostanzialmente concordi sull’opportunità di non sospendere la missione italiana in Iraq, ma di riesaminarla su nuove basi. Mentre un editoriale de L’espresso ha parlato di “tanti che, pur da sponde politiche opposte, vogliono la stessa cosa: un paese diverso nel rifiuto della rissa, della guerra civile di parole (…). L’Italia del dopo Nassiriya ha un gran bisogno di unità”. Tutto ciò non significa per nulla la rinuncia a distinguere, a esercitare la critica, a sostenere idee e proposte diverse e contrarie a quelle del governo. Noi stessi, mentre apprezziamo questo momento di civile concordia, non abbiamo esitato su queste pagine a condannare l’intervento militare in Iraq e la partecipazione italiana al di fuori di un contesto che avesse visto impegnata l’Onu, anche se la missione era stata avviata, con molta leggerezza, nell’illusione che la guerra fosse finita. Purtroppo, nel grande rogo acceso dal conflitto, non ci sono soltanto i morti italiani. Oggi e domani potremo piangere anche gli altri di cui troppo si tace.Vorremmo solo poterlo fare con quella compostezza e quella dignità che abbiamo tanto apprezzato in questi giorni. E poi poter fruire di questo nuovo clima, vorremmo ancora, per fare riflessioni più profonde su quanto sta accadendo in Iraq e non solo, per dare un senso, possibilmente concordi, alla guerra e alla pace, alla vita e alla morte.

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons