Una nuova via c’è

Dopo gli anni bui c’è posto per una fiducia rinnovata. La visita della presidente dei Focolari rilancia la nuova evangelizzazione.
Budapest

«Arrivando qui si respira la storia e la spiritualità che anche negli anni duri non è stata distrutta, ma coperta e forse protetta. Qui non si riparte da zero, si riparte dalla radice profonda di chi ha costruito questa civiltà, questa cultura». L’affermazione della presidente dei Focolari, Maria Voce, venuta ad incontrare la comunità ceca, sintetizza bene l’impressione che si può avere a contatto con un popolo oggi alla ricerca di un’identità dai contorni più definiti. «Nella nostra storia nazionale – mi racconta una docente ceca –, da sempre si scontrano da una parte la difesa contro le potenze vicine, cioè tedeschi e russi e dall’altra lo sforzo di un’apertura più grande verso la cultura europea. La nostra identità nasce nella ricerca dell’equilibrio fra queste due tendenze opposte».

 

Anche solo visitando la capitale si capisce quanto essa stia vivendo una fase di trasformazione. Situata su nove colli, con una popolazione di quasi un milione e mezzo di abitanti che arrivano a due milioni con quelli residenti nell’area metropolitana, essa è visitata ogni anno da circa sei milioni di turisti. Innumerevoli le attrazioni: palazzi, monumenti, castelli, chiese, l’università, che attestano una tradizione secolare di cultura, spiritualità, arte. Non a caso il suo centro storico nel 1992 è stato annoverato dall’Unesco nella lista dei patrimoni dell’umanità. Insieme allo splendore della “città d’oro”, come viene chiamata Praga, soggiornandovi non si può non sentire, però, il peso degli anni bui del comunismo, soprattutto nelle persone più avanti negli anni.

 

Dal 1968, anno della Primavera di Praga soffocata dall’occupazione delle forze del Patto di Varsavia, dopo la quale il socialismo reale diventò di nuovo più oppressivo, al novembre 1989, quando venne messo fine al regime, la storia del popolo ceco è infatti segnata da quelle grandi sofferenze che ne hanno forgiato la tempra solida. E proprio per questo Maria Voce lancia una proposta che può risultare ardita, ma allo stesso tempo attesa: «Oggi è tempo di gioia, il tempo di annunciare agli altri che Gesù è risorto, che tutti i dolori sono stati riscattati. Il passo che dobbiamo fare è la nuova evangelizzazione, il nuovo annuncio fatto da persone rinnovate dall’amore scambievole».

 

Non si rinnega il passato, ma, facendone tesoro, si può quindi guardare al presente e al futuro con fiducia. I motivi per sperare, infatti, non mancano. A cominciare dalle giovani generazioni, capaci di esporsi, di testimoniare prima e di raccontare poi ai loro coetanei perché credono in Dio in una nazione che – i dati lo confermano – è la più atea d’Europa.

Altro elemento di forza sono i movimenti, come sostiene mons. Frantisek Radkovsky, delegato della conferenza episcopale ceca per i laici: «La Chiesa ha grandi aspettative sui movimenti – ci dice in una intervista – perché sono la sua parte più dinamica, un dono dello Spirito Santo per questo tempo. La nostra società è secolarizzata, ma adesso c’è apertura alle cose spirituali ed è importante mostrare con la vita che il cristianesimo può portare il vero umanesimo. I movimenti hanno la capacità di raggiungere tutti e a loro sono aperti i più diversi campi d’azione, dalla famiglia alla scuola, dalla politica all’economia, dai media allo sport».

 

E non può non colpire l’opera di tanti preti. Se l’Ideale dell’unità ha attecchito nell’allora Cecoslovacchia, molto si deve a quanti di loro l’hanno fatto proprio e l’hanno diffuso. Lo riconosce il nunzio a Praga, mons. Diego Causero, intervenuto a un incontro della presidente con i sacerdoti in contatto con il movimento: «Essi hanno avuto un ruolo importante negli anni del comunismo: auguro loro di riprendere quella stessa forza perché il popolo ceco ha bisogno di leader con una ricchezza umana, una capacità di entrare in rapporto». Dalla Primavera di Praga alla rivoluzione operata dal Vangelo vissuto: una via originale c’è.

 

 

In Ungheria

 

Un popolo e le sue sfide

di Aurora Nicosia

 

Radici cristiane e un passato recente travagliato. Il Movimento dei focolari impegnato nella ricostruzione della società.

 

Al visitatore occasionale che arrivi a Budapest, insieme alla bellezza della città non può sfuggire la storia della nazione. La data più ricorrente, incisa nei monumenti, è quella del 1956, anno in cui i carri armati sovietici soffocarono nel sangue l’anelito di libertà di un popolo oppresso dalla dittatura comunista. Fu in quell’occasione che Pio XII lanciò un appello accorato perché il nome di Dio risuonasse «nei parlamenti e nelle piazze, nelle case e nelle officine, sulle labbra degli intellettuali e dei lavoratori, sulla stampa e alla radio».

Ne è passata di acqua sotto i ponti di Budapest, sul Danubio che attraversa la città e la collega alle altre nazioni bagnate da quello che è il secondo corso d’acqua d’Europa. Ma la nazione ungherese non ha dimenticato i fatti del 1956. Nella piazza del Parlamento brucia perennemente la “fiamma della rivoluzione” che ne tiene viva la memoria, mentre poco più in là sventola la bandiera tricolore, rosso, bianco e verde a strisce orizzontali, con al centro un buco: lì campeggiava la stella rossa, simbolo del dominio sovietico, che venne eliminata proprio in occasione della rivoluzione. Bandiere simili sventolano ancora nei luoghi strategici della città.

 

Ma la vita è cambiata in Ungheria. Il Paese, che ha raggiunto la libertà nel 1991, pur alle prese con le sfide del post‑comunismo si ritrova con una solida tradizione religiosa alle spalle che colpisce chiunque arrivi qui. Nei racconti degli ungheresi alcuni elementi non possono non risaltare. Il primo re, fondatore dello Stato magiaro è santo Stefano, la cui “santa corona”, unico caso al mondo, viene custodita, anzi troneggia, nel sontuoso Palazzo del Parlamento, il secondo al mondo per dimensioni dopo quello di Londra, il primo, dicono qui, per bellezza; 44 sono i santi e beati ungheresi; l’inno nazionale è una preghiera a Dio; i riferimenti alle radici cristiane sono presenti in tutte le costituzioni del Paese, anche nell’ultima approvata il 25 aprile scorso e che entrerà in vigore il 1ª gennaio 2012. Punti di forza per un popolo che deve superare una certa demoralizzazione e un forte individualismo, formarsi una coscienza di partecipazione politica e sanare un grave debito pubblico.

 

Fra coloro che si adoperano per la ricostruzione del tessuto sociale a tutti i livelli, ha un ruolo non indifferente il Movimento dei focolari, arrivato qui negli anni Settanta e oggi in grado di esprimere una grande vitalità. La visita della presidente dei Focolari, Maria Voce, è l’occasione per fare un bilancio di questa presenza e progettare il futuro. Sacerdoti e laici, famiglie e giovani, bambini e ragazzi sono impegnati a dare risposte concrete alle numerose sfide di questo popolo fiero. La comunità ungherese, poi, si prepara ad accogliere il Genfest, un appuntamento mondiale dei giovani dei Focolari che si svolgerà l’uno e il due settembre 2012. Una nuova importante tappa nell’ottica della fraternità universale.

 

Abbiamo chiesto a Maria Voce che impressione abbia avuto dal contatto con le comunità del movimento presenti in Ungheria. «C’è da ringraziare Dio – ci ha risposto – perché fanno cose importanti nei diversi ambiti in cui operano, nelle comunità in cui si trovano a vivere. Si sente che c’è voglia di far qualcosa per il Paese, non si vede gente amorfa, disinteressata: questa è una ricchezza. Ad esempio i giovani mi sono piaciuti molto perché, nell’incontro avuto con loro, mi hanno rivolto domande impegnative e volevano andare a fondo nel capire come vivere secondo l’Ideale dell’unità. Non si accontentavano di una risposta generica. In questo senso penso che il prossimo Genfest potrà contare su tanti talenti e su una grinta che forse da altre parti non ci sarebbe».

Le abbiamo pure chiesto quale fosse l’augurio per le comunità del movimento magiaro.

 

«Auguro loro di aprirsi, di superare quella diffidenza che a volte esiste nei confronti di altri popoli, di spalancare l’anima sul mondo intero cominciando intanto dall’Europa o almeno dai Paesi vicini. Ne hanno la possibilità. È giusto, infatti, affermare la propria identità, ma nel concerto delle nazioni. La sfida è quella di accorgersi dei tanti talenti che esistono qui in Ungheria, ma di donarli e di accogliere quelli degli altri popoli e di imparare sempre di più a collaborare con loro. Siamo qui a “far bella l’Ungheria” perché l’umanità sia più bella. D’altronde siamo in un mondo in costante sviluppo, in cui le frontiere si abbattono di continuo, e forse anche questo momento in cui l’Ungheria ha la presidenza dell’Unione europea può essere un momento favorevole».

 Aurora Nicosia

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