Un patto di fiducia contro la recessione

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La crisi economica e finanziaria è più che mai in pieno svolgimento. Nonostante le promesse di manovre di sostegno all’economia (dalle auto alle assicurazioni), le Borse continuano ad essere radicalmente instabili, e tendenzialmente in ribasso. Perché? La principale ragione, lo sappiamo, è una crisi di fiducia nella gente: non solo verso il sistema finanziario, ma anche nei confronti delle istituzioni (come i recenti dati dell’Eurobarometro dimostrano). I mercati non rispondono alle promesse degli interventi dei governi semplicemente perché non le considerano affidabili: nessun governo oggi è in grado di fare quanto sta promettendo, senza creare spirali di debito pubblico insostenibili. Come si può credere davvero a chi promette di salvare l’economia e la finanza creando ricchezza dal nulla? I danni di cui oggi stiamo prendendo coscienza sono il frutto di decenni di stili di vita individuali, collettivi e istituzionali dopati, che hanno favorito consumi superiori a quanto l’economia potesse produrre: questo conto va pagato con sacrifici, e non con promesse a costo zero. Di questo bluff i mercati, nel loro cinismo, sono coscienti, e quindi non credono alle promesse dei politici. Inoltre, chi conosce l’economia sa che la ripresa economica dipende poco – molto meno di quanto si pensa e si annuncia nei media – dalle azioni dei governi: certamente quei provvedimenti hanno un ruolo co-essenziale soprattutto in momenti come questi, ma la ripresa economica dipende soprattutto dalle azioni giornaliere di milioni di cittadini, di imprenditori e di banchieri. Esiste invece oggi una pericolosa alleanza tra politica e media che tende a mostrare un sistema economico totalmente dipendente dalle scelte dei grandi del mondo. L’ultimo G20 non è stato un fallimento perché hanno deciso poco, ma per altre due ragioni: perché i grandi del mondo pensavano di poter decidere molto su questa crisi, e su questa errata percezione hanno costruito promesse; e perché questi summit economici continuano ad essere incontri di politici e finanzieri, e non anche della società civile (che darebbe voce ai cittadini, e anche agli altri Paesi non inseriti nel club). Che fare allora? Sono convinto che usciremo da questa crisi solo se saremo capaci di una nuova alleanza, un nuovo patto tra imprese, banche, politica, istituzioni, società civile, famiglie, persone. Ma come immaginare questa nuova alleanza? Qui mi limito a una sola considerazione, che parte apparentemente da lontano. È forte oggi la tendenza ad accorciare la filiera dei prodotti alimentari, a ridurre cioè la distanza tra produttore e consumatore. Dietro questa tendenza non c’è solo l’esigenza di ridurre il costo dei beni (anche), c’è soprattutto un’esigenza, sempre più pressante, di poter rintracciare le persone reali nascoste dietro i prodotti, coloro che producono quel latte e quella pasta che mangiamo ogni giorno. C’è, in altre parole, una richiesta di maggiore responsabilità e una reazione contro la prassi del rimandare le responsabilità a qualcun altro lontano, che è sempre assente e irraggiungibile. Questa tendenza, anche se non appare come tale, rappresenta un fatto davvero nuovo nel nostro modello di sviluppo. Infatti, nei decenni passati, la crescita della grande distribuzione è stata la conseguenza di una idea: più il commercio è anonimo, grande e lontano dai centri storici, meglio è per le famiglie, perché hanno più varietà di prodotti, prezzi più bassi, più facilità di accesso e di parcheggi. Il dogma del consumismo del XX secolo, o del capitalismo di seconda generazione, era il seguente: meno rilevanti sono le relazioni personali e meno prossimità c’è nel consumo, più efficiente è il sistema economico e più soddisfatti risultano i cittadini. Ciò che oggi sta avvenendo nel campo alimentare sta dicendo che il grande, anonimo e lontano sta entrando in crisi, una crisi che considero irreversibile e mortale. La mia previsione è che la tendenza ad accorciare le distanze si estenderà dai beni alimentari a tanti altri settori: nel turismo, nell’arte, nella ristorazione, nei servizi di cura è già evidente. I recenti dati della Confcommercio mostrano che i negozi che più chiudono oggi sono quelli intermedi, che non hanno i vantaggi (di costo) della grande distribuzione, e neanche quelli relazionali dei piccoli. Dobbiamo infatti aspettarci una nuova stagione di negozi più relazionali, più a misura di persona, dove acquistare i beni ai quali attribuiamo valore, e lasciare agli ipermercati i prodotti più semplici e standardizzati. Anche la nuova alleanza tra imprese e banche, economia e società dovrà dunque tener conto di questa esigenza di riduzione delle distanze. In questi mesi ci stiamo infatti accorgendo che non solo la qualità del cibo è importante per una vita buona e sana; anche pensioni, risparmi, mutui, sono importanti per una vita individuale e sociale sana. Ci si avvelena con cibo inquinato, ma anche con mutui tossici. In un mondo globalizzato che tende ad omologare tutto, forte è oggi la reazione della gente che vuole tornare ad occupare il centro della scena, anche in economia: trovare nei mercati persone che si prendano cura dei problemi, e che non alzino le mani pronunciando l’incivile frase non possiamo farci nulla, poiché sono solo anonimi dipendenti di un’anonima organizzazione. Quando l’anonimato diventa sistema, si inizia ad uscire dal territorio dell’umano. Sarà quindi un’alleanza di persone, tra persone, per le persone che potrà creare le basi per una nuova economia e una società più a misura di persona e di ambiente.

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