Un ministro per la solitudine

Inquietante, ma forse necessario, la nuova istituzione voluta dalla premier May: nelle isole britanniche troppa gente non ha nessuno con cui condividere qualcosa della propria vita. Ma anche da noi

Isolamento non è sempre sinonimo di solitudine. Mentre il primo il più delle volte va cercato come soluzione benefica in certe circostanze della vita, la seconda è considerata sempre un male. Ci sono degli studi che associano la solitudine al declino mentale e perfino alle malattie cardiovascolari, quindi diventa un problema di salute e incide nella mortalità.

Ragionamenti di questo tipo sono alla base di un’organizzazione come Campaing to End Loneliness (finire con la solitudine), sorta nel 2011 in Gran Bretagna adunando lo sforzo di varie associazioni. Il motto: «Nessuno che ne abbia bisogno resti senza accompagnamento» (https:www.campaigntoendloneliness.org). Laura Ferguson, direttrice del progetto, affermava già allora che la solitudine «si è dimostrata un fattore di rischio simile a quello di fumare e peggio dell’obesità».

Il problema quindi viene da lontano e compromette la vita di una grossa fetta della popolazione britannica: nove milioni di persone, il 13,7% del totale, secondo quanto è stato segnalato la settimana scorsa dalla premier Theresa May, quando ha annunciato la creazione di un ministero della Solitudine, allo scopo di disegnare strategie per misurare meglio le dimensioni del problema e quindi combattere le sue conseguenze negative. Già in precedenza la parlamentare laborista Jo Cox, assassinata nel giugno 2016, aveva dato il via a una Commissione della solitudine per far fronte al problema. Ora May riconosce che «Jo Cox aveva visto la vastità della solitudine nel Paese e aveva dedicato la sua vita a far di tutto per aiutare gli interessati».

Non si tratta solo di persone anziane, anche se la metà di chi ha più di 75 anni (sui due milioni di anziani) vive sola e dice di trascorrere giorni e anche settimane senza rapporti sociali. La solitudine affetta anche altri settori. Dice la May: «Voglio affrontare questa sfida e passare all’azione contro la solitudine di chi cura malati, di chi ha perso i suoi cari, di chi non ha con chi parlare o condividere i suoi pensieri ed esperienze».

Un rapporto elaborato dalla Croce Rossa britannica, Trapped in a Bubble (intrappolati in una bolla), conclude che i momenti di transizione nella vita sono i più inclini alla solitudine cronica: le mamme di un primo figlio, i genitori che soffrono la sindrome del nido vuoto quando i figli partono, i divorziati, i neo-pensionati, le vittime di malattie croniche, chi manca di mobilità… «La solitudine forzata – afferma – tante volte è trascinata come uno stigma e la gran parte di quelli che l’hanno sofferta riconosce la resistenza e le difficoltà nel cercare aiuto».

I dati poi che offre l’Oms sull’invecchiamento della popolazione mondiale (http://www.who.int/ageing/about/facts/en/) ci mettono in allarme. Tra il 2000 il 2050 la quantità di abitanti oltre i sessanta anni sarà raddoppiata, passando da 605 a 2 mila milioni in mezzo secolo. Nello stesso periodo, gli ultraottantenni saranno quattro volte in più, e la stessa proporzione sarà quella degli anziani che richiederanno qualche tipo di assistenza a lungo termine.

A proposito della notizia sul ministero della Solitudine, la scrittrice e giornalista Joana Bonet commenta nel suo blog: «Non si tratta di quella solitudine bella, come scrisse Bécquer, quando hai qualcuno a chi raccontarglielo, ma di un opaco involucro che conduce alla disumanizzazione». Che ciò accada proprio nei tempi dell’iper-connessione telematica è veramente paradossale.

 

 

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