I vescovi scrivono all’Unione europea

I presidenti dei vescovi italiani ed europei scrivono una lettera aperta in vista delle elezioni europee. Ricordiamo ai lettori che ulteriori approfondimenti riguardanti le elezioni di giugno si trovano sulla rivista Città Nuova di giugno.
Un momento della Festa dell'Europa dedicata a Sassoli in piazza del Campidoglio, Roma, 9 maggio 2022. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

Manca oramai un mese alle elezioni del Parlamento europeo, che coinvolgeranno i 27 Stati membri dell’Unione europea (Ue), che ha circa 450 milioni di abitanti. Mentre i candidati avviano la campagna elettorale, si susseguono appelli al voto dalla parte di intellettuali e della società civile. In occasione della Festa dell’Europa, che si celebra il 9 maggio, e in vista delle prossime elezioni europee, Mons. Mariano Crociata, presidente della Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione europea (COMECE), e il Card. Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana (CEI), hanno pubblicato una lettera aperta rivolta proprio all’Ue.

All’Europa i vescovi danno del tu, chiamandola la nostra casa, prima casa comune, esprimendo il desiderio che essa si rafforzi in ciò che rappresenta e ciò che è, affinché tutti imparino a sentirla vicina, amica e non distante o sconosciuta. Ciò, secondo loro, è necessario a causa delle parole negative che spesso le vengono rivolte, dimenticando le importanti azioni che essa mette in atto.

Resta vivo il ricordo delle continue guerre che, nei secoli passati, hanno visto i popoli europei combattersi gli uni contro gli altri, con milioni di morti, con le ultime due guerre mondiali, dove tutti i sogni di pace si sono infranti, mentre in particolare nella Seconda guerra mondiale si è toccato il male assoluto con la Shoah e la minaccia alla sopravvivenza dell’umanità intera con la bomba atomica. In tale contesto si è sviluppato il germe della comunità di Paesi che hanno costituito quella che è oggi l’Ue.

Non può mancare il riferimento ai padri fondatori, Robert Schuman, Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi, che, animati dalla fede cristiana, hanno ideato qualcosa che rendesse impossibile il ritorno della guerra sul suolo europeo: la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), nel 1951, concepita proprio per mettere in comune la gestione di quelle materie allora indispensabili per la guerra. In realtà, quei tre uomini, tra gli altri, hanno avviato la riconciliazione tra i popoli europei e l’abbandono degli odi e delle vendette. È seguita poi la collaborazione sul piano economico, con i Trattati di Roma nel 1957 e la nascita della Comunità Economica Europea (CEE), superando la caduta del muro di Berlino, fino all’allargamento, nel 2004, e giungendo all’ultima grande riforma nel 2009, con il Trattato di Lisbona.

I vescovi considerano l’Ue un organismo vivo, che, tuttavia, necessita di riforme istituzionali che la pongano all’altezza delle sfide di oggi, affinché non sia solo un’organizzazione burocratica. Infatti, direttive e regolamenti da soli non fanno crescere la coesione, ma è indispensabile un’anima! Negli ultimi anni, però, vi sono state fasi di stallo e difficoltà nelle quali pare essersi smarrito il senso dello stare insieme e la visione di un futuro condiviso, così da non comprendere che il destino è comune e che bisogna continuare a costruire un’Europa unita.

Riecheggia papa Francesco, a Lisbona, nel 2023, quando ci si domanda: Europa, dove sei? Che direzione vuoi prendere? Questo è vero soprattutto in riferimento ai conflitti in atto, laddove dopo un lungo periodo di pace si riteneva che una guerra sul continente europeo sarebbe stata impossibile. Ecco che è necessario ritornare al progetto dei padri fondatori e costruire nuovi patti di pace se vogliamo che la guerra contro l’Ucraina finisca così come quella in corso in Medio Oriente. Come recita anche la Costituzione italiana: è necessario combattere la guerra e ripudiarla per davvero!

Discende, da qui, una riflessione sul ruolo internazionale dell’Europa, con l’auspicio che essa incida e porti sullo scacchiere internazionale la propria volontà di pace, i propri strumenti diplomatici e i propri valori. I vescovi chiedono all’Europa di risvegliare la propria forza così da far sen­tire la propria voce, in modo da stabilire nuovi equilibri nelle relazioni internazionali. I vescovi, però, stigmatizzano anche le divisioni interne all’Europa che non le permettono di assumere un ruolo in linea con la propria statura storica e culturale, ma che le impediscono anche di far fronte alle attese dei suoi popoli.

È dunque imprescindibile che l’ap­partenenza nazionale e quella europea si implichino a vicenda, ricordando che il processo di integrazione europea ha messo assieme dei Paesi liberi e sovrani che rinunciavano a parte della loro sovranità a favore di una sovranità comune, più forte. Perciò, le singole identità e libertà non sono sminuite, ma l’autonomia propria di ciascuno è conservata in un rapporto organico e leale con gli altri Stati membri.

Non manca un accenno ai valori cristiani, ispiratori del primo pro­getto europeo. Oggi, i cristiani continuano a sentire la responsabilità di portare avanti quel progetto che pone al centro la dignità della persona, che il Vangelo di Cristo ha seminato nei cuori e nella cultura europei. Da qui il disappunto per quelle iniziative che sembrano lontane dal sostegno alla vita, dal suo inizio alla sua fine, così come dalla scarsa attenzione alla crescita demografica.

Forte è anche l’appello ad affrontare le questioni migratorie che coinvolgono persone da diversi continenti alla ricerca di una vita migliore in Europa, che rappresenta un punto di riferimento per i Paesi mediterranei e africani, dove tanti immigrati già contribuiscono al nostro benessere. Il tema non è quello di accogliere tutti, ma far sì che nessuno perda la vita nei cosiddetti viaggi della speranza. L’Italia è spesso lasciata sola ad accogliere i migranti, mentre le responsabilità vanno condivise da tutti gli Stati membri.

I vescovi europei individuano, inoltre, alcune sfide rispetto ad un’integrazione sempre più piena che raggiunga un fisco europeo equo, una politica estera autorevole, una difesa comune che permetta di esercitare correttamente una responsabilità internazionale, un processo di allargamento ai Paesi che ancora non fanno parte dell’Ue, un’innovazione economica e tecnica, di sicurezza, di cura dell’ambiente, di salva­guardia del welfare e dei diritti individuali e sociali, la lotta alla disinformazione.

Insieme alle riforme istituzionali, i vescovi enfatizzano la necessità di far cresce­re un sentire comune, attorno ai valori che stanno alla base della nostra convivenza comune, sviluppando un nuovo senso della cittadinanza, un senso civico di respiro europeo, la coscienza dei popoli europei di essere un unico grande popolo.

Ecco l’importanza delle prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo e la nomina della Commis­sione europea, alla cui partecipazione al voto i vescovi fanno appello, affinché tutti, candidati e cittadini, a cominciare dai sedicenni che per la prima volta in alcuni Paesi andranno a votare, sentano quanto sia importan­te compiere questo gesto civico di partecipazione alla vita e alla crescita dell’Ue. I vescovi osservano che astenersi dal voto non equivale a restare neutrali ma, anzi, significa assumersi la responsabilità di dare ad altri il potere di agire senza, se non addirittura contro, la nostra libertà.

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