Un governo al femminile

Parte il nuovo governo di Pedro Sánchez con molte ministre, 11, e molti problemi da affrontare: disoccupazione, diseguaglianza, cambiamenti climatici, spopolamento, terrorismo internazionale,  crimine organizzato, integrazione di società plurali e solidarietà con i rifugiati».

Governare al femminile. Potrebbe essere questa una minimalista definizione del nuovo Consiglio dei ministri presentato mercoledì dal nuovo premier spagnolo, Pedro Sánchez, che – ricordiamo – affronta il compito di attivare la politica spagnola durante i due anni che restano dell’attuale legislatura. E, infatti, nel presentare le «personalità che compongono questa squadra», Sánchez non ha dimenticato che si tratta di uno sforzo per «i prossimi mesi», non di anni. Sa bene che governare in minoranza non è facile, che nel 2020 ci saranno elezioni, che gli ultimi sondaggi situano il Partito socialista (Psoe) come terza forza politica. E, inoltre, è arrivato alla presidenza del governo in maniera indiretta, mediante una mozione di censura. Si gioca tanto sia il Psoe per recuperare voti, sia le nuove forze politiche.

Il nuovo Gabinetto è composto di undici «ministre» (lo spagnolo ammette la forma femminile) e sei ministri. Il più anziano ha 71 anni, la più giovane 42. L’età media è di 55 anni, ma otto di loro hanno un’età inferiore. Sánchez ha cercato di rispondere a una «società paritaria, dove la metà della cittadinanza sono donne». Gli analisti però vedono dietro anche un’intenzionalità elettorale, sia per le prossime elezioni comunali ed europee nel 2019, sia per le generali del 2020: attirare il voto femminile. Ricordano anche le grosse manifestazioni femministe dell’8 marzo, che qui ebbero particolare successo. Ma non solo il voto delle donne, anche quello dei pensionati, dei giovani, degli europeisti… Sánchez vede la società spagnola «intergenerazionale, aperta al mondo e ancorata nell’Unione europea, socialmente impegnata e altamente qualificata». Ecco perché ha presentato i nuovi ministri e «ministre» come «il riflesso del meglio che c’è nella società spagnola, alla quale vuole servire» e li ha ringraziati per «mettere da parte le loro prestigiose carriere professionali», coscienti che la politica non è «una professione, ma una tappa nella vita». Infatti, non tutti né tutte provengono dall’ambito politico, ma possiedono un alto profilo professionale nei loro campi.

«La politica esige, oggi più che mai, ascoltare, dialogare, arrivare a un consenso con chi la pensa diversamente». È la frase a cui sono stati più attenti i giornalisti. Il problema dell’indipendentismo catalano è sul tavolo. Negoziare con loro sarà duro. Come si fa per arrivare al «potenziamento del nostro progetto comune, riconoscendo la diversità del suo essere», quando l’indipendentismo agogna una repubblica e lo Stato spagnolo è un regno? Auguriamo a questo nuovo «Consiglio di ministri e ministre», che inizia il suo percorso, luci in abbondanza per far fronte non solo alle sfide interne, ma anche a quelle che il contesto europeo deve affrontare e che Sánchez ha voluto enumerare: «Precarietà lavorativa, diseguaglianza, cambiamenti climatici, spopolamento, combattere il terrorismo internazionale e il crimine organizzato, integrazione di società plurali e solidarietà con i rifugiati».

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