Un figlio un voto

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Avolte ci sono idee che sembrano folli (e in certo senso lo sono) ma rappresentano la scintilla di nuovo capace di scuotere una realtà sclerotica. Come ad esempio l’idea che sta serpeggiando per l’Europa da tempo ed ora è approdata anche in Italia con la sua provocatoria proposta: Bisogna dare diritto di voto ai minori, con delega ai genitori, per rendere il suffragio universale veramente tale, per far pesare in politica gli interessi dei bambini, delle famiglie, cioè del futuro del paese. Molti politici di professione all’inizio hanno abbozzato un sorriso, pregando di non disturbare le loro faticose schermaglie con sindacati, lobby finanziarie, industriali, partiti d’opposizione, eccetera. Ma ora la marea sta montando. Nel novembre 2003, un gruppo di 47 parlamentari tedeschi, trasversa- le ai vari partiti, ha presentato al Bundestag una mozione di modifica alla costituzione per concedere il diritto di voto dalla nascita e sbloccare la paralisi delle riforme. In Austria è nata Kinderwahlrecht jetzt! (con punto esclamativo) che significa Diritto di voto ai bambini subito!. L’associazione è sostenuta dal Partito Popolare, dal Fpö di Haider e da varie organizzazioni sociali. In Italia le Acli, nel loro congresso di aprile, hanno raccolto l’idea messa a punto dall’economista Campiglio e l’hanno inserita nelle sette proposte per l’agenda politica del paese. È una scommessa decisiva per il nostro futuro – ha detto il presidente Luigi Bobba -. Faremo le cose per bene per arrivare fino in fondo, iniziando da un gruppo di studio, con ricercatori e studiosi europei, che esaminino tutte le problematiche connesse, prepareremo un dossier per far conoscere a tutti la proposta. Una proposta dirompente. Solo in Italia sarebbero 10 milioni di voti in più. In Germania 16 milioni di elettori si aggiungerebbero a modificare il quadro politico. Se qualcuno li ritiene fuochi fatui dovuti a persone e gruppi in cerca di visibilità, è meglio che cambi idea. Perché le radici culturali del progetto sono profonde. Addirittura Antonio Rosmini, nel suo progetto costituzionale del 1848, prevedeva che il diritto di voto avrebbe dovuto essere esteso ad ogni cittadino di sesso maschile, cui sarebbe spettato pure il compito di votare per la moglie e per ogni figlio: vale a dire, un voto per ogni bocca da sfamare. Ma il diritto di rappresentanza è un classico della esperienza sociale cristiana. Tanto per non andare troppo lontano, a Nomadelfia, la comunità solidale di don Zeno, nelle elezioni interne le mamme hanno diritto a votare anche per i figli. Nel 1873 in Francia lo storico Henri Lasserre presentò pubblicamente la proposta del voto ai minori. Il paese usciva dalla sconfitta con la Prussia, impoverito in tutti i sensi. Bisognava programmare energicamente il futuro e dare voce alle famiglie. In Italia, esperienze di partecipazione democratica dei bambini sono in corso con i consigli comunali dei ragazzi, attivi in circa 500 comuni sparsi in tutto lo stivale. Sono importanti ma hanno valore puramente consultivo, per l’organizzazione delle iniziative e degli spazi delle città. Dal punto di vista culturale, l’idea ha non pochi sostenitori anche oggi. Ad esempio Philippe Van Parijs, docente di scienze sociali, economiche e politiche all’università di Lovanio (Belgio): Dobbiamo dare più potere alle famiglie per frenare il declino demografico, ma soprattutto dobbiamo ridurre la dittatura del presente sul futuro, dando più peso elettorale agli interessi di chi ha ancora tanti decenni di vita davanti a sé, ha detto al settimanale Vita non profit. E condivide in pieno anche la proposta del politologo tedesco Schmitter, il quale ha già elaborato un progetto di costituzione europea che estende il diritto di voto ai minorenni in tutti i paesi dell’Unione. Ma il teorico più ferrato e deciso del progetto è italiano, Luigi Campiglio, economista, pro-rettore dell’Università Cattolica di Milano, che da anni elabora e sviluppa questa idea di completamento del suffragio universale, dando voce finalmente all’unica categoria rimasta finora esclusa: i minori. L’immagine che dà dell’Italia (un paese che va rinsecchendosi come una prugna) è efficace e dice più di tante argomentazioni sociologiche, lo status demografico, economico e di sviluppo prevedibile della nazione che ha il più basso indice di natalità. Che occorra una inversione di tendenza, una rottura di continuità, sono in tanti a dirlo. Pochi hanno la creatività e il coraggio di tirar fuori una idea e proporla. Perché, parliamo schiettamente – ha detto Campiglio al già citato settimanale Vita non profit -, si tratta di un problema di democrazia: far coincidere l’interesse dei politici, che riguarda pochi anni cioè lo spazio di una legislatura, con l’interesse a lungo termine che è quello dei minori e dell’intera società. Se vuole essere rieletto il politico dovrebbe far i conti anche col consenso di questi nuovi elettori, e quindi pensare a salvaguardare il reddito delle famiglie, le pensioni… Le ricerche dicono che tutte le coppie vorrebbero un figlio in più e non possono permetterselo. Questa è una drammatica mancanza di libertà: le famiglie non sono libere di attuare i loro programmi di vita. Ci vuole una modifica costituzionale che dica che il voto si acquista con la nascita, e che sino alla maggiore età questo diritto viene esercitato dai genitori. Io propongo la madre, perché le donne colgono meglio in genere i bisogni di base. Inoltre in caso di separazione è a loro che più di frequente si affidano i bambini. Ma soprattutto perché la presenza delle donne in politica (ad esempio a livello parlamentare) storicamente sposta le scelte di interi gruppi sociali. Sono comunque tutti dettagli da definire. L’importante è creare questa possibilità ed aprirci al nuovo. La Costituzione non lo prevede? Ma le costituzioni sono fatte per servire gli uomini, non viceversa. Qualcuno obietta: ma non sarebbe più semplice una seria riforma fiscale che privilegi la famiglia? Certo, dico io, ma chi la fa? Sono decenni che l’associazionismo famigliare preme e propone, e che la classe politica promette. Ma quando si arriva al dunque, il parlamento è costretto a privilegiare altre urgenze, altre istanze, e tutto viene rimandato, per insormontabili motivi di bilancio, o per le emergenze internazionali, alla prossima legislatura. È una legge di democrazia: se non c’è la forza dei voti, nulla cambia in politica. A questo punto, molti lettori saranno curiosi di conoscere i commenti e le reazioni dei nostri politici presenti al congresso Acli del Lingotto, o informati dalla stampa sull’irriverente proposta Campiglio/ Bobba. Non ci sentiamo di riportarle perché, in genere, non ci fanno una bella figura. Si salvano coloro (e non sono pochi) che scusandosi hanno detto no comment, chiedendo un supplemento di riflessione per la novità del progetto. L’impressione prevalente, però, è che davvero ci sia qualcosa di nuovo nell’idea. Non è l’ennesima riproposta della famiglia come culla di valori morali e diga contro una crisi etica crescente. Qui si tratta di considerare la prima cellula della convivenza umana quale seme di socialità e di un divenire economico in grado di ricostruire i rapporti tra le generazioni e ritessere un nuovo ordito nel tessuto sociale. Intanto, permettendogli di avere dei figli e di poterli crescere come si deve. E poi immettendo nella scena politica, piena dei soliti volti noti, nuove prospettive emergenti dalla verità della vita. È un vento nuovo, dicevamo, che percorre l’Europa. Nel governo Zapatero, molti posti di comando sono stati occupati da donne. E questo è un sintomo importante. In Inghilterra già sono ammessi al voto, nelle amministrative, i sedicenni: anche questo è un fatto che ha modificato la politica, soprattutto quella locale. Ma il paese oggi più avanti in Europa è la Francia, che ha saputo darsi una seria politica famigliare e che, guarda caso, è con l’Irlanda la nazione europea più prolifica. Come ha fatto? Semplice: ha fatto una seria riforma fiscale che divide l’imponibile per il numero dei componenti la famiglia. Più figli hai, meno paghi. Inoltre: sussidi per l’alloggio e assegni famigliari inversamente proporzionali al reddito; premi in denaro per la nascita dei bambini; assegni di base aggiuntivi fino ai tre anni del piccolo, eccetera. Più un investimento di 200 milioni di euro per la creazione di ventimila nuovi posti in asili nido. Senza figli non c’è futuro era il titolo dell’ultima Giornata per la Vita indetta dai vescovi italiani. È evidente che, al di là delle promesse elettorali e delle affermazioni di principio sull’importanza della famiglia, ai nostri politici interessa il presente più che il futuro. Forse 10 milioni di bambini che, coi loro genitori, giocano a votare riusciranno a fargli cambiare idea? UN NUOVO PASSO DI DEMOCRAZIA Non possiamo non essere d’accordo col progetto del prof. Campiglio. Primo fondamentale motivo: il bambino è una persona che, nascendo, è subito portatrice di diritti: innanzitutto quello alla vita. Per un paradosso legato alla natura umana, quanto più è bisognoso di aiuto nell’usufruire di questi diritti, tanto meno è personalmente attrezzato per farli valere. Per ciò è necessario che ci sia un procuratore, quello che la natura ha pensato per tante altre funzioni: i genitori. Seconda ragione: una famiglia dove c’è un bambino è una sorta di laboratorio di umanità in cui si vedono più chia- ramente necessità e potenzialità affettive, relazionali e fisiche, del diretto interessato, ma, attraverso di lui, dell’umanità in generale. Per cui, in estrema sintesi, si può dire che la famiglia con figli, dal punto di vista socio-politico, ha una valenza che supera l’ 1 + 1 dei voti riconosciuti ai due soli genitori. La famiglia con bambini è spinta, ad esempio, a leggere più attentamente il territorio dove vive: un figlio da portare a spasso perché si incontri con altri bambini fa subito pensare a spazi di verde, per bambini, malati, anziani, e stimola i genitori a proporre soluzioni alle istituzioni. Mi pare quindi molto interessante che, anche nel campo politico, cresca la possibilità di espressione delle famiglie, responsabili degli adulti di domani. Concretamente proporrei di iniziare con il dare un voto ad ogni famiglia che abbia figli. Sarebbe un riconoscimento della sua valenza sociale, riconosciuta non tanto sul numero dei figli che la compongono, quanto piuttosto per la generatività di cui si è fatta carico. Inoltre, proprio per favorire una maggior presa di coscienza collettiva dell’apporto sociale legato al mettere al mondo figli, proporrei di introdurre questa innovazione nelle elezioni più legate al territorio dove la famiglia vive: quindi quelle amministrative, comunali e provinciali. Questo consentirebbe anche di testare vantaggi ed eventuali difficoltà che potranno venire da questo nuovo passo di democrazia.

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