Un dono per Viorel

Che schifo di vita, pensava Viorel sulla panchina di quel parco pubblico. Attorno, nient’altro che rifiuti fuori dei cestini, aiuole incolte, dimenticate dai giardinieri… una visuale in strana sintonia con la situazione di uno come lui, un senza fissa dimora. Forte solo di un presunto talento per le scommesse (le corse dei cavalli), aveva in effetti intascato ultimamente una discreta vincita, ma non aveva fatto neanche in tempo a spenderla che una mattina, al suo risveglio sotto il cielo, si era ritrovato con un taglio nelle tasche dei pantaloni. E i soldi? Spariti! Viorel aveva minacciato all’aria terribili vendette; poi all’ira era succeduto lo sconforto, e allo sconforto un’apatia protrattasi fino a quella sera inoltrata. Per evadere dallo squallore circostante, alzò gli occhi al cielo, ciò che non faceva da tempo. Contemplò una volta ormai stellata, con una luna splendente: qualcosa di così puro e distante dal suo mondo solito che quasi si commosse. Incuriosito, seguì l’itinerario di due nuvolette che sembravano venirsi incontro: man mano cambiavano forma e si incurvavano come due C opposte. Giunte a toccarsi, ne risultò un ovale, da cui traspariva attenuato lo splendore lunare. Tutt’a un tratto quell’ovale sembrò traboccare di una luce diversa, e in essa delinearsi una figura femminile ammantata, che tendeva le braccia in un gesto di accoglienza. Le tendeva verso Viorel… sì, non c’erano dubbi! Il romeno sussultò come ad una scossa elettrica, invaso da un ignoto senso di beatitudine. Mai, nemmeno nei dipinti di famosi artisti, aveva contemplato una simile bellezza. La Madonna… ed era apparsa a lui, un bevitore, bestemmiatore e peccatore! Mentre pensava a questo la splendente visione scomparve, e Viorel cercò invano nelle nuvole ora informi una traccia di essa. Ancora sotto quella forte emozione, il romeno decise che quell’evento straordinario andava festeggiato. A modo suo, beninteso: con soddisfazione aveva racimolato nelle tasche monete sufficienti per comperare un paio di cartoni di vino. Un’ora dopo gironzolava barcollante per strade che non riconosceva, quando venne affiancato da un tizio su una moto. Che ci fai qui? Monta su che ti riporto al tuo posto solito. Era Daniel, un suo connazionale che ogni tanto lo riforniva di vino e di sigarette. Viorel obbedì docile. Il veicolo sfrecciò via. Ma aveva fatto poche centinaia di metri quando ad un incrocio, slittando sui binari del tram, si ribaltò. Daniel si rimise in piedi senza troppi sconquassi; non così Viorel, rimasto intontito sul selciato, mentre un rivolo di sangue gli rigava il viso. Pochi minuti dopo un’ambulanza raccoglieva tutti e due trasportandoli al più vicino pronto soccorso. Quanto a Viorel, una volta ricucita la ferita, volevano trattenerlo per fargli delle lastre, ma il romeno, ancora sotto l’effetto dell’alcol, cominciò a dibattersi come un energumeno. L’amico provò a convincerlo, ma niente da fare: si trascinò fuori e al primo angolo si buttò a dormire. La celeste apparizione, per il momento, gli era completamente passata di mente. Da quindici anni Viorel si trovava in Italia. Aveva fatto presto a imboccare una china discendente: senza più documenti (persi o rubati), lavoro in nero, poi neanche più lavoro, alcol, qualche furto, la galera… Se all’inizio di tanto in tanto telefonava alla famiglia, quei contatti si erano diradati per non dover ammettere di essersi ridotto a vivere così, da randagio. Ma un giorno, litigando al telefono con la sorella (il rapporto con lei non era mai stato facile) si sentì urlare che i genitori erano morti ambedue in un incidente. Annientato, da allora Viorel tagliò in ponti con quanto restava della famiglia (fra l’altro, una nonna a cui era singolarmente affezionato): era la sua rinuncia ad un passato il cui solo ricordo gli avrebbe tolto il coraggio residuo per tirare avanti. Viorel, un carattere eccessivamente impulsivo, all’apparenza un duro, uno dal linguaggio sboccato e sempre pronto a menare le mani. Ma bastava guardare quel suo viso da ragaz- zo, malgrado avesse superato i trent’anni, e quegli occhi che si inumidivano non appena qualcuno gli faceva un gesto gentile, per capire che era solo per darsi un contegno. Stefano lo conobbe per caso. Ogni tanto gli portava delle sigarette, cibarie, qualche indumento… soprattutto ascoltava con pazienza le sue tirate contro questa società matrigna e ingiusta. Altre volte invece Viorel gli declamava, traducendoli, dei versi del maggior poeta nazionale; e perfino poesie sue! Finché arrivò al fatto dell’ap parizione. A questo punto Viorel squadrò Stefano: Mi credi? Bada che non avevo bevuto neanche un goccio quella sera. Certo, perché non dovrei… – rispose l’amico, pensieroso -. Se Dio si è fatto uomo, tutto è possibile. Ti credo, ma…. Avrebbe voluto aggiungere: ti rendi conto del privilegio avuto, e tu come hai risposto? Ubriacandoti e subendone le conseguenze. Forse hai sciupato una grazia che non ti capiterà più… Già, ma cosa voleva dirti la Madonna? chiese Stefano. E lui stesso si diede una risposta: Che ti è sempre vicina e ti protegge, nonostante tutto. Man mano che la conoscenza reciproca progrediva, Stefano ven- ne a sapere del dramma familiare del giovane romeno. Se non vuoi riavere a che fare con tua sorella – gli disse alla fine – , cerca almeno di farti vivo con tua nonna, visto che le vuoi così bene. Chissà quanto è in pena per te! Potresti scriverle, darle il mio indirizzo per la risposta… . Finì per convincerlo. L’indomani gli avrebbe portato foglio, busta e penna. Neanche una settimana dopo, la risposta. In quei giorni Stefano aveva fatto visita un paio di volte all’amico, trovandolo più intrattabile che mai, a motivo di quella lettera, temuta e al tempo stesso così desiderata. Ed ecco, era arrivata! Era sera. Per leggerla i due si spostarono sotto un lampione. Tutto eccitato, Viorel cominciò a tradurla per Stefano, quando ad un tratto s’interruppe, cambiò aspetto… e giù una sonora imprecazione. Sono vivi, vivi! Capisci? E quella svergognata di mia sorella mi ha fatto credere che erano morti!. Vivi chi? Di chi parli? domandò Stefano. Dei miei genitori! – proruppe Viorel – . Mia nonna qui mi dà notizie di loro… dice che sono andati ad abitare da lei da quando la sua salute è peggiorata e non poteva più vivere da sola! E pensare che in tutti questi anni…. Stefano stentò a calmarlo: Lascia perdere: non guastarti la gioia di questa notizia…. Ancora agitatissimo, Viorel continuò la lettura. Ah ecco, mia nonna mi scrive anche il suo numero di telefono…. Stefano gli lasciò qualche euro per una scheda telefonica, proprio per invogliarlo a chiamarla. Grazie, lo faccio subito… – sorrise l’altro, acquietato -. Se non fosse stato per te, non avrei mai saputo la verità… . Come mai Viorel non si decideva a tornare dai familiari, lasciandosi dietro le spalle quella esistenza senza sbocco? Semplice: voleva sì tornare in Romania, ma alla grande, con un portafogli ben rifornito dopo una vincita ai cavalli. A questi discorsi, Stefano sentiva cascargli le braccia. Lo avrebbe aiutato in qualche modo per il viaggio, ma non se la sentiva di incoraggiarlo in quel tentativo così aleatorio. Intanto il tempo passava senza nulla di fatto, alternando, da parte di Viorel, umor nero dovuto all’astinenza dall’alcol (ogni tanto ci provava a smettere) e smodata euforia dopo l’ultima telefonata con i suoi. Ripensando all’episodio della Madonna, Stefano si meravigliava come, dopo un’esperienza del genere, si potesse rimanere uguali a prima. Ma allora, doveva credergli o no? Un episodio gli diede da pensare: fu quando Viorel, di punto in bianco, gli chiese: Parlami di Maria… dimmi come la si prega. Si trovavano lì, al solito ritrovo a pochi metri dal traffico e dal viavai di pedoni. Non sembrava il luogo più adatto per certe confidenze, ma visto il tipo, non era il caso di lasciar perdere l’occasione. Stefano si scoprì così a dir parole insolite, che gli sembravano suggerite; parole che l’altro beveva. Si creò in quell’angolo anonimo di strada quasi un’oasi di sacro, dove il nome, anzi la realtà di Maria poteva risultare percepibile. Fu l’esperienza di pochi istanti: proprio come quell’ovale luminoso poi disfatto in vapori inconsistenti. Il sole mattutino accendeva già di toni caldi il travertino delle chiese quando Stefano trovò Viorel ad aspettarlo. Aveva con sé la sua Canon per scattargli qualche foto da mandare ai parenti. Mentre cercava lo sfondo e l’inquadratura adatta, Viorel si raccomandava agitato. Si vedrà che ho la barba lunga?… Cerca di riprendermi intero… me l’hanno chiesto loro: forse – ironizzò – è per assicurarsi che non mi manca nessun pezzo!. Le foto giunsero regolarmente a destinazione. Tardavano invece quelle promesse dalla Romania. Sai – confidò un giorno Viorel all’amico – sono ansioso soprattutto di vedere come s’è fatta grande mia nipote, la figlia di mia sorella… (a proposito, ci siamo riconciliati!). L’altro giorno, quando ho chiamato a casa, è venuta a rispondermi lei: non immagini quanto bene voglia a questo zio lontano e…. Era sempre lo stesso, a tratti spaccone e insofferente contro tutto e tutti.Ma qualcosa stava cambiando in lui: sempre più spesso – notava Stefano – si mostrava senza maschere, indifeso, e per questo più vero. Un giorno se ne uscì in questo sfogo: Quasi quasi stavo meglio prima, quando, credendo morti i miei, m’ero messo l’animo in pace e avevo azzerato tutto quanto il mio passato. Ora invece non sono né di là né di qua…. Soffriva… ma era un soffrire diverso rispetto a quanto lo affliggeva una volta: le scommesse alle corse, la mancanza di una donna o di vino per far baldoria… Chissà che non fosse questo un dono che Maria aveva pensato per lui. Stefano avrebbe voluto parlargli in questi termini, ma si trattenne: l’altro forse non era ancora pronto a recepirlo. E del resto lui stesso cosa capiva di Viorel, di quella esistenza precaria senza nulla di concluso e di prevedibile? Come davanti ad un mistero, noto solo a Dio, non doveva pretendere per sé altro ruolo che quello di compagno lungo un tratto di strada.

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