Un nuovo ciclo o vecchie sfide?

Mentre si accentuano le polarizzazioni ideologiche, i cambiamenti di governo rispondono a ragioni più che altro economiche. Corruzione e debolezza istituzionale le grandi sfide. La società civile chiamata in causa

Ci sono vari modi di leggere i processi politici, economici e sociali in atto nella regione sudamericana. C’è chi propende nel vederci il fallimento di una gestione di centro sinistra, o di sinistra, che ha governato nella regione sottolineando una tendenza soprattutto in Brasile, Argentina, Bolivia, Ecuador, Uruguay e Venezuela. Approfittando di un decennio di crescita generale a tassi sostenuti, si stima che nella regione circa 70 milioni di persone abbiano smesso di essere misere. Le politiche sociali, con un forte accento nella ridistribuzione del reddito, hanno consentito questo processo in una fase in cui, in generale, tutti i settori dell’economia hanno beneficiato della crescita.
La principale accusa è quella di non aver saputo approfittare di tali opportunità per costruire un modello di crescita sostenibile, capace di affrontare i periodi di vacche magre, come l’attuale, e non solo quelli di vacche grasse, come il precedente. Un’altra accusa frequente è quella di essere ricorsi al populismo e magari anche al clientelismo, spendendo e spandendo ma senza creare premesse per un sistema produttivo duraturo.
In parte l’accusa ha le sue ragioni. Appare sempre più chiaro che non è sufficiente distribuire risorse sotto forma di sussidi che, utili nelle fasi di risposta all’emergenza acuta, diventano poi una trappola della povertà quando non riescono a superare il mero assistenzialismo e perpetuano la dipendenza dalla carità pubblica. Le politiche sociali hanno bisogno di stabilire meccanismi produttivi che generino vera ricchezza attraverso un lavoro di buona qualità.
È altresì vero che coloro che oggi difendono la spesa pubblica dalle politiche sociali onerose e poco produttive dimenticano che le precedenti gestioni su questo fronte avevano ottenuto ben pochi o nulli risultati. Spesso avevano aggravato le condizioni di vita dei settori più vulnerabili e se nell’attualità è cresciuta la macchina dell’intervento statale, spendacciona e frequentemente inefficiente, ieri si avvertiva con spavento l’assenza dello Stato incapace di provvedere servizi essenziali. Da un lato si premeva per annoverarli tra i beni commerciabili con l’argomento dell’efficienza, dall’altro l’argomento di limitare la spesa appariva ogniqualvolta lo Stato cercava di migliorarli.
La dicotomia tra pubblico e privato è evidenziata dall’idea che il primo sia inefficiente e il secondo sia senza scrupoli. In pochi casi, nonostante la presenza di innumerevoli esperienze di economia civile, si avverte un rapporto di fiduciosa collaborazione tra Stato e società civile.
Resta il fatto che una buona parte dei cambiamenti in corso rispondono alle circostanze nelle quali la recessione ha reso insostenibile la continuità della gestione di governo. In Brasile e Argentina, le grandi maggioranze che a suo tempo avevano appoggiato il progetto politico degli ultimi anni hanno, almeno in parte, preso le distanza da tali gestioni.

Diverso il caso del Venezuela, dove si assiste al fallimento di un progetto con pretese rivoluzionarie che sta portando a una situazione nella quale è difficile vedere una via di uscita pacifica e democratica senza ricorrere quanto prima alle urne. In Ecuador si avvertono i contraccolpi della recessione, in Bolivia e Uruguay i risultati sono ancora positivi e l’appoggio dei votanti pare che sia sostenga. Il fattore economico pare dunque più determinante di quello ideologico, anche se paradossalmente si è in presenza di inedite polarizzazioni ideologiche.
In questo contesto si avvertono alcuni fattori chiave. Uno è quello della corruzione. Senza contare che un numero elevato di ministri, in esercizio e non, sono sotto inchiesta, tre ex presidenti del Perú, quattro ex presidenti del Brasile e la ex mandataria argentina. Il che indica un problema che è trasversale a tutti i partiti. Ma la corruzione non è un male che avvolge solo partiti e funzionari pubblici: si stima che l’evasione fiscale in America latina raggiunga i 340 miliardi di dollari. Si tratta dunque di un male endemico ed un fattore che distrae risorse allo sviluppo e corrode la fiducia nelle istituzioni.
Appare qui il tema della solidità delle istituzioni. Suscita meraviglia la facilità con la quale in Brasile, Venezuela e Paraguay si è preso alla leggera il dettato costituzionale o come viene spesso inficiata la separazione dei poteri. Istituzioni solide significa capacità di generare la fiducia nei beni pubblici che, tra l’altro, sono fonti di ricchezza perché senza di esse non è possibile lo sviluppo.
Ancora una volta, la regione è posta di fronte a grandi sfide alle quali sia la politica che l’economia non hanno mostrato una grande capacità di risposta: la prima si chiude nella difesa corporativa del potere ottenuto, la seconda nella difesa dei suoi interessi limitati, spesso con l’ausilio dei media.  È una situazione che chiama direttamente in causa la società civile organizzata, quella che sarà capace, come ha suggerito papa Bergoglio, di attivare processi di cambiamento sociale più che occupare spazi di potere. L’unica incognita è se questa saprà farsi presente a tale appuntamento.

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