Tutto Schifano maestro dell’impossibile

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Ogni volta che ci si avvicina a Mario Schifano – l’artista scomparso nel 1998 – la verità nuda e cruda del vivere d’oggi, nella ipertrofica tecnologia occidentale, ci aggredisce. Quasi ci soffoca con la sua prepotenza. Sono infatti getti incandescenti le sue opere – vitalistiche, inquietanti -: sembrano coprire un’angoscia che vuol tuttora emergere, ma che lui, Schifano, cerca di superare. Le Fibre ottiche del ’97 – non a caso antecedenti di un anno la morte – appaiono un’operatestamento: meravigliosi getti di colori, emergono dal buio (della vita, della società?) come una capriola luminosa dell’anima: un balzo in avanti, verso la luce. Oltre l’arte “debole” – come il pensiero – del nostro tempo. Quest’arte “debole” Schifano la conosce. Nell’Angelo del nostro tempo, del ’95, lavoro complesso – smalto acrilico e fosforo su tela preparata al computer – la fusione delle varie tecniche fa da supporto ad un visione tesa, per frammenti di corpi e di volti, due ali di colori eccitati ancora sotto un cielo buio: ma, trapunto di stelle. Una speranza? Schifano conosce la paura. Ma è coraggioso: perché, innanzitutto, crede nella vita. In una immensa tela dell’84, Il suono del flauto e il boschetto, lo sfrecciare delle tinte, da parte di una fantasia apparentemente senza regola, affascina per la vitalità con cui rende il sogno veritiero e la natura qualcosa che viene di continuo creato. E che accoglie. In memoria dello scultore inglese sconosciuto, dello stesso anno, vede un prato denso di fili d’erba dove ogni stele è un corpo, una vita che non c’è più. Ma che un cielo dalle nubi arricciate di bian- co copre come un immenso cuore. E nei Gigli d’acqua dell’82, è la sua vena – di poeta lirico – ad emergere furtiva, come le pennellate che dal groviglio dei segni sprizzano una gioia, che forse mai ci si aspetterebbe da lui. Come si palpita, fra questi lavori: disordinati, confusi, per chi non li conosce, certo eccessivi: ma non è il nostro il tempo dell’accumulo – d’immagini, strumenti, sensazioni – e dell’esagerazione? Schifano non si sottrae ad esso, vi si implica personalmente. Non è questo forse il suo lato durevole, quanto invece il sentimento di sfidare l’impossibile: correre verso l’alto. Nella grande tela rossa Senza titolo dell’82, quattro danzatori volano dentro un mare di sangue. Nel volo perdono, chi più, chi meno, la testa. Solo uno resiste: ed il suo slancio, bellissimo, ci prende come una fitta al cuore. Anche chi di Schifano conoscesse nulla, qui istintivamente si fermerebbe: non si tratta solo di forza persuasiva del colore, di un suo ruggito. In quel volare, il danzatore- Schifano trascina sé stesso – e non solo – verso altre dimensioni dell’essere. Lo spirito, per quanto incatenato dalla civiltà mediatica – e da essa sedotto, come se ne lascia sedurre l’artista – tende ad uscire dalla terra, punta all’immortalità. L’impossibile, così, diventa possibile. Non per nulla Schifano intitola una sua opera densa di spazi e di colore, ancora nel 1963: Splendido e astratto “con anima”. Tracce di una vita 1934: Schifano nasce ad Homs, in Libia. 1959: prima personale a Roma: dall’informale al monocromo. 1962: è negli Usa, conosce la pop art. Due anni dopo è alla Biennale a Venezia. 1967: primo lungometraggio Anna Carini vista in agosto dalle farfalle, cui seguirà una trilogia di film. Fra gli anni Settanta e Ottanta partecipa a varie mostre, Bologna Venezia e Londra. 1990: rassegna al palazzo delle Esposizioni in Roma; ove muore il 26.1.’98. La mostra attuale, divisa in tre sezioni principali, contiene trentatré opere corrispondenti ai nuclei tematici. Ma conta pure una ricostruzione dello studio dell’artista, un filmato sintesi della rassegna ed una sezione didattica per visite guidate, laboratori per studenti e percorsi domenicali a temi.

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