Ti lascio una canzone

Antonella Clerici è tornata su Raiuno dopo la nascita della sua piccola Maelle: un po’ stanca, ma comunque in forma, per recarsi ogni settimana a Sanremo, da dove conduce Ti lascio una canzone: una sorta di gara e talent show tra le più belle canzoni della storia della musica italiana, regalate al pubblico da bambini talentuosi. Il programma, in onda mentre scriviamo, è stata una delle rivelazioni televisive del 2008, reggendo anche quest’anno la partita degli ascolti, soprattutto per la bravura dei piccoli talenti e la professionalità di una struttura produttiva e autorale, che ha proprio in Roberto Cenci il fulcro creativo. A dire il vero l’idea non è originalissima: dai Piccoli Fans di Sandra Milo, allo Zecchino d’Oro del Mago Zurlì, sono in tanti ad aver portato le ugole d’oro in palcoscenico, già in tenera età. Eppure all’Ariston succede qualcosa di diverso: il bambino viene portato via regolarmente dalla sua realtà normale di scuola e gioco per un lungo periodo di tempo, esposto a vivere situazioni che non appartengono alla sua età e che non sono gestibili emozionalmente senza provocare qualche serio problema caratteriale. Le stesse canzoni che vengono proposte sono scritte da adulti per adulti. Tutto questo, in un tripudio di complimenti che arrivano ai bambini da vari addetti ai lavori e da un pubblico in visibilio, rischia di far passare in ombra la presenza di un meccanismo perverso, di cui è responsabile l’adulto, che rischia di generare dei piccoli mostri. La simpatia di Ernestino, il trionfatore della scorsa edizione, non ha per niente attenuato gli allarmi di educatori e psicologi, convinti che un bambino, a quell’età, debba fare il bambino e basta, giocando, piangendo, cercando la mamma, vivendo le situazioni a lui proprie che permettono un cammino progressivo verso l’età adulta. Una recente inchiesta sui bambini prodigio della tv, pubblicata su una nota rivista italiana, ha dimostrato quanto essi abbiano dovuto soffrire e lottare per superare quelle esperienze, creandosi una professione e una rete relazionale solo per quello che erano in quanto persone e non per i minidivi che erano diventati. Lo Zecchino d’Oro è davvero un’altra cosa.

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