The Circle, condividere è prendersi cura?

Il percorso di riflessione sulla complessità del mondo digitale nello spazio di un cineforum originale a Milano

Pomeriggio soleggiato, luminoso e con cielo terso: è questo il bollettino meteo che davano in radio mentre con Stefano, mio marito, ci dirigevamo (in ritardo!) in auto verso via Rovigo 5 a Milano per l’ultima tappa di uno dei  cinque appuntamenti di confronto e dialogo su tematiche attualissime.

Il film di oggi, The Circle di James Ponsoldt (2017), narra di una ragazza, Mae, che inizia a lavorare in un’importante società che gestisce il più grande social network del mondo. Una realtà magica ai suoi occhi: ambiente luminoso, ampia scrivania, e poi prati, campi da gioco, attività organizzate. Il prezzo di tutto ciò? La progressiva rinuncia alla privacy a favore della trasparenza totale, con la pretesa che mettere in condivisione sul web ogni minuto della propria vita sia la chiave per costruire un mondo senza bugie, quindi più autentico.

Il pomeriggio del cineforum è cominciato con una serie di domande relative alla tematica del film a cui i presenti potevano rispondere sì o no facendo un passo avanti o un passo indietro, mentre si era disposti in piedi in un cerchio.

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Terminata la proiezione, abbiamo in molti provato un certo sollievo nell’uscire all’aperto, al tepore del sole. Infatti, la visione appena conclusa ha da principio suscitato un senso sottile di ansia: il film è assolutamente realistico, descrive il mondo di oggi; le logiche e le scelte fatte dall’azienda nel film sono quelle su cui probabilmente i giganti del web riflettono e lavorano quotidianamente. Insomma, se la prima reazione è stata quella di allontanare il telefono, chiudere i social e ritirarsi in un moderno eremitaggio, il confronto sincero tra noi ci ha permesso di razionalizzare e analizzare in profondità quanto visto. È seguito un momento di merenda e discussione in piccoli gruppi, di cinque o sei persone, e poi un altro momento in cui la discussione è stata estesa a tutti e sono state messe in comune le riflessioni fatte.

Ne è emersa la necessità di “stabilire un rapporto equilibrato con le nuove strategie di comunicazione” (dice Gaia), in modo da non esserne assoggettati, ma sfruttarne le potenzialità in positivo. Infatti, “è labile il confine tra un uso virtuoso e socialmente utile della tecnologia e, dall’altro lato, un uso egoistico, profittevole e dannoso” (dice Emanuele).

The Circle pone alcuni interrogativi sul reale valore della privacy, suggerendo che la rinuncia completa ad uno spazio privato e nascosto, il condividere tutto (passioni, abitudini, luoghi, istante per istante) può portare il grande vantaggio di vivere al sicuro, protetti dal costante sguardo del mondo su di noi. Il film immagina una realtà contemporanea simile a un gigantesco social network in cui non esistono momenti intimi e personali, dove siamo costantemente spiati, dove ogni decisione, ogni informazione confidenziale deve essere condivisa in rete, per il “bene di tutti”.

È facile immaginare come dietro questa intenzione apparentemente nobile, si celi però un lato oscuro dalle conseguenze incontrollabili: “Mi ha colpito l’ipotesi di un controllo universale sull’uomo per manipolarlo e fargli credere che saremo trasparenti, senza libertà” (dice Dario).

A quanta libertà siamo disposti a rinunciare per sentirci più sicuri? Parlandone insieme, è emerso che per noi la privacy, lo spazio privato, è fondamentale, perché è lo spazio della riflessione, il luogo del non-palcoscenico dove l’uomo può misurarsi con se stesso, provare a cambiare, cercare soluzioni nuove; darsi il tempo della riflessione senza necessità di una reazione immediata. Sempre più oggi si dà per assodato che avere un segreto equivale a mentire.

In questo senso, una società “trasparente” dove tutto è alla luce del sole dovrebbe essere auspicabile. Ma è davvero possibile per l’uomo non avere segreti? Non è forse insito nella sua natura profonda, nel suo stesso impianto? Confrontandoci, è emerso che la trasparenza assoluta ci sembra illusoria, e realizzabile solo a patto di mostrare la superficie ed ignorare la profondità che ciascun essere umano ha in sé: “l’intimità è un privilegio da custodire e la sua condivisione è una mia personale scelta” (dice Giulia).

Ma allora dobbiamo smettere di comunicare? La comunicazione tecnologica e via social è o meno veicolo di una vera relazione tra persone? Probabilmente la risposta sta proprio nell’uso sano ed equilibrato di questi potenti strumenti, che possono tanto alienarci, quanto permetterci di conservare e coltivare importanti relazioni, a distanze un tempo impensabili e nonostante la frenesia della vita di oggi.

«Del film mi ha colpito la rappresentazione delle ambivalenze, come il confine tra potere e limite della tecnologia, che non ti fa maturare un giudizio rigido e conclusivo ma continua a metterti in discussione, non solo durante la visione del film ma anche nelle riflessioni post visione». (dice Giulia)

«Questa esperienza mi ha arricchita, anche se trovo una certa fatica a spenderla con altri al di fuori del contesto familiare. Ciò che mi ha colpita è che il film non prende una posizione unilaterale sul discorso della privacy; inoltre, mi ha fatto capire che posso aprirmi di più verso le nuove generazioni e la loro naturalezza nell’essere social, mentre io ne vedo solo gli aspetti negativi». (dice Cristina)

Il cineforum ha fatto emergere le diverse sensibilità presenti in noi e questo ha reso ancora più interessante il confronto, tramite il quale, sia nell’accordo che nel disaccordo, ci siamo sentiti uniti soprattutto nel mettere in condivisione mente e cuore con il gruppo.

«Per usare un gioco di parole su cui lavora il film, ho riscoperto che sharing is caring, condividere è prendersi cura. Potermi confrontare […] con persone provenienti da ambienti diversi dal mio è stato per me fonte di ricchezza. Vedendo il film avevo pensato ad alcuni spunti, ma probabilmente non sarebbero emersi con la stessa chiarezza se non fossero stati messi in discussione con altri.

In questo senso, aver condiviso è stata la possibilità di prendersi più cura sia di me che degli altri con cui ero. […] The Circle mostra tutta la problematicità di un certo modo tipico del mondo digitale di prendersi cura, che può diventare violento quando pretende di sostituire completamente il modo più normale, carnale, per così dire “dal vivo”, della relazione con l’altro. Forse, quindi, poiché non tutte le forme della condivisione sono equivalenti, non tutte costituiscono un prendersi cura ugualmente autentico. […]Ho pensato al bisogno che abbiamo, in quanto uomini, di luoghi che incentivino il confronto, che acuiscano in noi la consapevolezza della possibilità positiva che l’incontro con l’altro costituisce. […] Sono luoghi preziosi di condivisione reale, e quindi di cura». (dice Michele)

Dopo tutte le parole spese e gli sguardi incrociati, tornando a casa ecco cosa mi risuona dentro: per essere “umani” dobbiamo prenderci cura.

Qui una scheda del film citato nell’articolo

 

 

 

 

 

 

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