Terremoto, valanghe, disastri. Perché?

Sbigottiti di fronte alle tragedie di questi giorni, ci poniamo tante domande. Le cause e il senso di quanto è accaduto

Siamo sempre più attoniti. Questo il sentimento prevalente di tutti noi che da giorni seguiamo le drammatiche notizie che arrivano dal centro Italia: neve e disagi con interi paesi senza acqua e senza elettricità per giorni; nuove scosse di terremoto; poi la valanga dell’hotel Rigopiano e in contemporanea la notizia dell’elicottero del 118 che si schianta sempre in Abruzzo. Diciamoci la verità: sembra una maledizione. E se è davvero triste svegliarsi al mattino e cercare sull’Ansa gli aggiornamenti sulla situazione, capire quanti sono gli estratti vivi e quanti i morti dall’hotel, figurarsi quali sentimenti può provare chi queste tragedie le vive da vicino o sulla propria pelle.

Una domanda è ricorrente, con le sfumature più diverse: «Perché?». Perché quell’hotel lì, perché qualcosa non ha funzionato all’inizio, perché non si riesce a ripristinare la rete elettrica, perché quell’incidente? E potremmo continuare nella ricerca di cause dovute a mano d’uomo. Ma un “perché” è ancora più profondo ed è rivolto a quel Dio che avremmo voluto intervenisse ad evitare la gran parte delle cose di cui stiamo parlando. Una domanda che, ancor più delle altre, difficilmente trova risposta.

In questi giorni un’amica ha condiviso con me il testo del discorso pronunciato da papa Francesco alla comunità filippina in occasione della benedizione del mosaico di san Pedro Calungsod.  Era il 21 novembre 2013, neanche due settimane dopo il tifone Hayan che aveva colpito lo stato asiatico causando oltre diecimila vittime. Bergoglio così si esprimeva: «In questi giorni, anch’io sono stato molto vicino al vostro popolo. E ho sentito che la prova era forte, troppo forte! Ma ho sentito anche che il popolo era forte! Quello che ha detto il cardinale (Tagle, ndr) è vero: la fede viene su dalle rovine. La solidarietà di tutti nel momento della prova. Perché succedono queste cose? Non si può spiegare. Ci sono tante cose che noi non possiamo capire. Quando i bambini incominciano a crescere non capiscono le cose e incominciano a fare domande al papà o alla mamma: “Papà, perché? Perché? Perché?”. Gli psicologi la chiamano l’”età del perché”, l’“età dei perché”. Perché il bambino non capisce… Ma se noi stiamo attenti vedremo che il bambino non aspetta la risposta del suo papà o della sua mamma: un altro perché e un altro perché… Il bambino ha bisogno, in quell’insicurezza, che il suo papà e la sua mamma lo guardino. Ha bisogno degli occhi dei suoi genitori, ha bisogno del cuore dei suoi genitori. In questi momenti di tanta sofferenza non stancatevi di dire: “Perché?”. Come i bambini… E così attirerete gli occhi del nostro Padre sul vostro popolo; attirerete la tenerezza del Papà del cielo su di voi. Come fa il bambino quando chiede: “Perché? Perché?”. In questi momenti di dolore, questa forza sia la preghiera più utile: la preghiera del “perché?”. Ma senza chiedere spiegazione, soltanto chiedere che il nostro Padre ci guardi. Anch’io vi accompagno, con questa preghiera del “perché?”».

Mi ha fatto bene al cuore e mi ha fatto pensare che anch’io, ciascuno di noi, possiamo essere per quanti stanno soffrendo, espressione della tenerezza di Dio.

Scriveva un’altra amica di Teramo, città che si sta spopolando sempre più per le conseguenze dei fenomeni di questi giorni: «Sono tante le esperienze condivise nelle comunità di coloro che ancora non sono collegati per la mancanza di rete, luce, gas, acqua. Tanta neve, scosse di terremoto, situazioni difficili di salute, l’allerta per la diga di Campotosto che potrebbe provocare un effetto Vajont sulle nostre città, qualche crepa in più in casa. Che dire? Le emergenze sono continue e impreviste, ma tutto diventa un’occasione per uscire fuori di noi e metterci ad amare chi ha più bisogno o è solo».

Le piccole (si fa per dire), concrete risposte quotidiane. In attesa delle grandi risposte alle grandi domande.

 

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