Il sogno dell’emiro Fakhreddine

Tra vicende romanzesche, viaggi in tutto ilo mondo conosciuto allora, una cultura vasta, l’esponente druso tra XVI e XVII secolo immaginò il Libano attuale, tollerante e multireligioso

 

Ho sentito parlare e sempre in toni entusiastici della “reggia di Beiteddine”, nello Shuf libanese. Ad essere sincero, non mi hanno mai attirato granché i palazzi del potere, ma questo caso era diverso, perché più che la cosiddetta “reggia” mi attirava la regione: lo Shuf, appunto, e i drusi che lo abitano da secoli. Così, una domenica ho imboccato la highway Beirut-Saida, l’autostrada (a scorrimento lento, a volte lentissimo) verso Sud. Dopo un’ora e solo 24 Km percorsi esco a Damour e imbocco la strada che si addentra nello Shuf verso Beiteddine. Il cambio di ambiente è improvviso e fantastico: si passa dal caos e dal cemento a oltranza della strada costiera ad un paesaggio sempre più boscoso, poche case basse inglobate armoniosamente nel verde. «Questo è lo Shuf», mi annuncia il mio accompagnatore indicandomi quella meraviglia. Ed aggiunge: «Questo è il feudo dei drusi, e loro ci tengono molto all’ambiente naturale».

In Libano si calcola che ci siano oggi circa 250 mila drusi, in Siria potrebbero essere almeno il doppio, in Israele forse la metà del Libano. Non è molto ciò che si riesce a conoscere di loro, i “figli della grazia” costituiscono una realtà molto esclusiva: non si può scegliere di diventare druso, o ci nasci o niente da fare. Il fondatore fu un mistico persiano vissuto a cavallo fra X e XI secolo che cominciò a predicare la sua dottrina in Egitto, al tempo del califfo fatimide al-Hakim. I drusi sono un gruppo originariamente ismailita e con una fede islamica vicina a quella sciita, ma con molte differenze e peculiarità. In Libano e in Siria i drusi vennero a rifugiarsi fin dalla metà dell’XI secolo, in seguito alle sanguinose persecuzioni intervenute in Egitto dopo la morte di al-Hakim. Nello Shuf druso si affermarono col tempo alcune famiglie feudali e dalla metà del XII secolo si consolidò il potere di un’unica famiglia, i Ma’an, che controllarono ben presto anche la pianura tra Beirut e Sidone, fino a venire investiti ufficialmente dell’autorità feudale da Nur-al-Din, signore della Siria e grande oppositore dei crociati.

I Ma’an mantennero la loro autorità fino alla fine del XVII secolo, quando ormai da oltre due secoli tutto il Medio Oriente e il Nord Africa erano entrati a far parte dell’impero dei turchi ottomani, che nel 1453 avevano conquistato Costantinopoli e ne avevano fatto la loro capitale mutandone il nome in Istanbul. In questo quadro emerge una figura originalissima e in certo modo profetica: quella dell’emiro druso Fakhreddine II (1572-1635), della famiglia Ma’an. Dopo aver perduto il padre e il nonno, giustiziati dai turchi, crebbe in una casa di cristiani maroniti fino all’età di 18 anni. Poi, approfittando delle guerre contro i persiani e gli ungheresi che impegnavano il sultano, tornò al suo feudo e per qualche anno riuscì ad ingrandirlo e renderlo autonomo. Ma la reazione ottomana arrivò pesante e Fakhreddine dovette fuggire (1613). Si rifugiò in Toscana presso la corte di Cosimo II de Medici, che lo accolse a braccia aperte. Viaggiò anche in Francia e in Spagna, tanto che il suo nome venne storpiato in Faccardino (in Italia) e in Ficardin (in Francia). Di questi anni resta un interessante documento in una sorta di diario. È stato ripubblicato anche in italiano pochi anni fa. Fakhreddine sognò con la complicità del granduca di Toscana di tornare in Libano per liberarlo dal dominio ottomano e dare al suo popolo una comune identità libanese, rispettando e valorizzando le molte differenze: musulmani, drusi, cristiani, ebrei.

Nel 1618 si verificò l’occasione che gli permise di tornare in Libano. I sogni fatti con il Granduca (che morì nel 1621) rimasero tali. Ma lui non si arrese e nel 1623 riuscì perfino a sconfiggere in battaglia l’esercito che gli era stato mandato contro per ordine del sultano. Per una dozzina d’anni riuscì a sostenere il suo sogno e si costruì anche un palazzo nel cuore dello Shuf, a Deir-El-Qamar, 5 Km da Beiteddine. La casa esiste ancora, così come una moschea e una sinagoga. Deir-El-Qamar è un villaggio incantato, piccolo e affascinante, dove le case stesse (restaurate a dovere) hanno belle storie da raccontare.

Ma non poteva durare e, inesorabilmente, il sogno si infranse: l’esercito del sultano Murad IV sconfisse i libanesi e Fakhreddine fu portato in catene a Istanbul, dove venne giustiziato (con alcuni famigliari) nel 1635. L’ultimo dei Ma’an, Ahmed, morì senza eredi nel 1697 e il titolo di emiro passò ad un ramo collaterale della famiglia, gli Chehab. Molto più tardi, nel XIX secolo, l’emiro Bechir Chehab II (1767-1850), erede dei Ma’an, costruirà la cosiddetta “reggia” di Beiteddine. L’emiro Bechir visse nel suo palazzo (che quindi non è una reggia, ma è bellissimo) fino al 1840, quando gli Ottomani lo mandarono in esilio e abolirono l’emirato. Il sogno dell’emiro Fakhreddine risorgerà soltanto nel 1920 con la nascita del Libano moderno.

 

 

 

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