Sinodo, la novità è nel metodo

28 anni, giornalista. Ha appena terminato un master e dovrà cominciare tra poco uno stage lavorativo. Originario di Lodi vive a Milano. Intervista a Gioele Anni, uno dei 34 giovani uditori dell’assemblea sinodale dedicata ai giovani, che rappresenta il settore giovani dell'Azione cattolica italiana

Se dovessi definire la tua esperienza al Sinodo in una parola?
È un’esperienza di mondialità con tutta la Chiesa. Ho visto plasticamente quanto ampia e diversa è la Chiesa a seconda delle varie realtà concrete in cui si colloca. Questo comporta una ricchezza culturale e di pensiero, ma anche delle differenze. Tra tanti desideri di cambiamento e tra tante istanze così diversificate ho visto una Chiesa che cammina unita. Lo scopo del Sinodo è di portare all’unità facendo dei passi insieme e il valore dell’unità l’ho apprezzato tanto in questi giorni.

Sei intervenuto davanti al papa?
Ho preso la parola due volte. Negli interventi liberi e negli interventi programmati dove c’erano a disposizione 4 minuti per ognuno.

Le discussioni sono state animate? In particolare su quali punti?
Non c’è stata tensione. Rispetto ai sinodi precedenti, tutti parlano di un clima più disteso. Nel Sinodo dedicato alla famiglia su alcune questioni ci sono state delle divisioni anche nelle votazioni finali. Questa volta il clima è più tranquillo. Anche i cardinali che guidavano le sessioni hanno aiutato con qualche aneddoto, qualche barzelletta, per costruire un clima sereno e divertente.

Si è parlato molto sugli abusi sessuali sui giovani e sui minori?
C’è un grandissimo consenso sul fatto che la Chiesa ha chiesto, chiede e chiederà scusa ai giovani, perché mette in crisi il rapporto di fiducia. Il Sinodo ha fatto un passo avanti. Non è solo questione di chiedere perdono o prendere misure urgenti, ma di toccare qualche punto strutturale perché gli abusi sono favoriti in contesti di forte clericalismo, in cerchie molto ristrette di forte maschilismo. Uno dei processi da mettere in gioco per evitare che si ripetano abusi è di favorire invece ambienti e comunità di vita aperti, plurali, sereni. È un passaggio che è stato fatto.

È emersa la comune vocazione per l’impegno civile… verso quali sentieri si orienta il Sinodo, c’è stata qualche proposta?
Ci sono state diversi riflessioni sull’età a cui ricevere la cresima e ci sono Conferenze episcopali che preferiscono che il sacramento sia ricevuto più avanti nell’età, altri prima. Non c’è una linea unica. È emerso che la cresima può essere data ad un giovane che ha fatto qualche passo in più rispetto ad una conoscenza solo teorica del catechismo. C’è necessità anche di passare a impegni concreti, di servizio alla comunità, al volontariato, e bisogna inserire nei percorsi formativi qualche impegno che dica la scelta di vita fatta. Non solo la parte nozionistica, anche se non si è entrati nei dettagli. Non ci sono state indicazioni precise, ma emergeva, in generale, l’urgenza di una formazione più collegata con la missione.

Sui giornali si parlava di discussioni sui rapporti matrimoniali…
Se ne è parlato. Sono stato colpito dal pudore e dalla lucidità con cui ne hanno parlato i padri sinodali, in modo competente, ma con rispetto delle tante situazioni possibili. Si nota dalle riflessioni fatte che il precedente sinodo sulla famiglia e l’Amoris Laetizia sono stati acquisiti e le attuali discussioni sono in profonda continuità con i Sinodi precedenti. In uno slogan si potrebbe dire: una Chiesa che non giudica, ma una Chiesa che accompagna. I principi restano saldi, ma mettendo da parte il giudizio per fare un cammino, un pezzo di strada insieme con le persone.

Del mondo Lgbt (persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender) se ne è parlato anche nel pre‒sinodo?
Se ne è parlato anche ora senza arrivare a disposizioni puntuali. Sarebbe poco sensato dire in un documento finale cosa una persona omosessuale può fare o non può fare. Il tema dell’omosessualità e del mondo Lgbt è stato trattato come un tema pastorale perché è questa la richiesta dei giovani Lgbt che hanno scritto al sinodo. C’è stata precedentemente una grande polemica sul perché sia stata inserita nell’Instrumentum Laboris la sigla Lgbt, ma è stata messa perché alcuni cristiani Lgbt hanno mandato al sinodo dei documenti in cui chiedono di essere accompagnati nel loro percorso. Vediamo cosa emergerà nel documento finale. Il desiderio è di accompagnare, accogliere, non lasciarli soli. Sarebbe un passo importante per dimostrare che la Chiesa è aperta e non lascia solo nessuno.

Quali sono le novità che stanno emergendo?
Più che di temi parlerei di metodo con un percorso preparatorio, con l’assemblea pre‒sinodale, con il regolamento che papa Francesco ha emanato prima del Sinodo. La Chiesa si sta dando strumenti per avere dei processi decisionali aperti, condivisi, dinamici. Il Sinodo non finisce domenica 28 ottobre, ma avrà una sua continuazione, anche se bisognerà vedere in che forme. È un processo cominciato da più di due anni che non termina con la sua conclusione. Un altro segno positivo è stata la volontà di coinvolgere i giovani sui social. È stato uno spazio aperto a tutti. Non si era mai visto che un giovane, indipendentemente dalla sua appartenenza, potesse partecipare. Le proposizioni finali ci sono state date martedì e sono bellissime. Mercoledì sono previste due sessioni di discussioni, i padri possono fare degli emendamenti scritti, e sabato le votazioni. Dovrebbero essere pubblicate sabato pomeriggio, poi il papa deciderà, ma mi sembra che se il documento finale viene approvato all’unanimità diventa magistero della Chiesa. Dopo il papa deciderà se scrivere una esortazione.

Il papa è stato sempre presente?
Tranne quando era impegnato in qualche udienza come, per esempio, con il presidente della Corea del Sud.

Lo hai mai incontrato o salutato?
È venuto lui su da noi, in alto a destra dove eravamo nell’aula del Sinodo, anche facendo fatica a fare le scale. Ha voluto stringerci la mano, anche a me e agli altri ragazzi. Ci ha detto che voleva solo salutarci, ci ha chiesto da dove venivamo e ci ha incoraggiato a continuare a fare chiasso in aula per sottolineare gli interventi che ci piacciono di più.

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