Si scaldano i motori per le europee di maggio

I cittadini europei tornano alle urne per eleggere il loro Parlamento. Si riuscirà a invertire la tendenza che vede, ad ogni consultazione,diminuire inesorabilmente la partecipazione ? La situazione economica e alcune innovazioni istituzionali potrebbero influenzare il voto
Parlamento Europeo

Per l’ottava volta dalla nascita delle Comunità europee negli anni Cinquanta, avremo la possibilità di eleggere i nostri rappresentanti al Parlamento europeo. Questa possibilità è a dire il vero sempre meno sfruttata: nel 1979, quando si è tenuto il primo scrutinio continentale, ha votato il 62 per cento degli aventi diritto; nel 2009, alle ultime elezioni, in un contesto di crisi economica imperversante e di paura riguardo alla sopravvivenza stessa della moneta unica, solo il 43 per cento dei cittadini europei si è recato alle urne, con un record negativo di appena il 20 per cento per la Slovacchia e la Lituania. Nello stesso periodo, l’affluenza di votanti italiani è passata dall’85 al 66 per cento.

Cinque anni dopo, alcuni dei Paesi sono tornati a crescere o intravedono la luce alla fine del tunnel. Tuttavia, le misure di risanamento fiscale attuate in diversi Stati, tra cui l’Italia con i governi Berlusconi, Monti e Letta hanno contribuito a creare un’immagine di Bruxelles come freddo apparato tecnocratico che impone austerità senza considerare le ripercussioni sociali, difficili da sopportare per le popolazione che ne sono colpite. Tutto questo in un contesto di disoccupazione che continua a crescere, soprattutto tra i giovani, mentre la Grecia potrebbe avere bisogno di un terzo piano di aiuti internazionali, il Portogallo di un secondo e anche la Slovenia potrebbe essere oggetto di un salvataggio, con i vincoli che ciò comporterebbe per i bilanci nazionali.

Gli analisti si aspettano un notevole aumento dei voti antieuropei o di protesta, a favore di partiti euroscettici o populisti, come il Partito dell’indipendenza britannico, il Fronte nazionale francese o il Movimento Cinque Stelle. In realtà, questo fa parte del gioco democratico e il Parlamento europeo esiste anche per dare voce a ogni visione dell’Europa, di qualunque tipo, che emerga dal voto popolare.

Ciò che cambia quest’anno è che i risultati delle elezioni avranno, qualunque cosa accada, un doppio risultato. Il nostro voto, infatti, non determinerà soltanto la composizione del futuro Parlamento, tramite l’elezione dei 751 deputati europei. In virtù di una nuova disposizione del trattato di Lisbona, i capi di Stato e di governo dovranno tener conto dell’esito delle elezioni del Parlamento europeo nel proporre allo stesso Parlamento il nome del prossimo presidente della Commissione europea, il successore di Barroso. Le famiglie politiche europee si stanno organizzando per proporre una personalità come capolista a livello europeo, che sarà il candidato naturale per la presidenza della Commissione in caso di vittoria.

I liberali hanno scelto l’ex primo ministro belga Guy Verhofstadt. Il suo programma: più Europa, un’unione economica e fiscale e l’unione bancaria il più presto possibile. La sua convinzione federale ha causato qualche perplessità tra alcuni partiti liberali nazionali, come l’olandese, più eurotiepidi. Ecco perché la formazione politica ha finalmente deciso il 1° febbraio di candidare alle elezioni un “ticket” composto da Verhofstadt e dall’attuale commissario per gli Affari economici e monetari, l’ortodosso (in termini di disciplina economica e di visione sull’integrazione europea ) Olli Rehn.

I verdi hanno scelto gli europarlamentari José Bové e Ska Keller, e la Sinistra Europea suo vicepresidente e leader del partito Syriza, il greco Alexis Tsipras. Mentre i socialisti puntano sull’attuale presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz (quello, per intenderci, cui Berlusconi aveva offerto il ruolo di capò in un film, in un memorabile intervento al Parlamento europeo in apertura della presidenza italiana dell’Ue nel 2003, sotto gli sguardi esterrefatti dell’assemblea e del mondo), il Partito popolare europeo sceglierà il suo candidato al prossimo congresso del 6 marzo a Dublino. Il fine settimana del 1-2 febbraio, l’ex primo ministro del Lussemburgo ed ex presidente dell’Eurogruppo, il veterano Jean-Claude Juncker sembra aver intascato il sostegno di Angela Merkel, che gli garantirebbe la nomination al congresso di Dublino.

Nel frattempo, il 31 gennaio Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo (l’istituzione europea che proporrà al Parlamento il nome del futuro presidente della Commissione), ha convocato una riunione informale dei capi di Stato e di governo per il 27 maggio, pochi giorni dopo le elezioni europee. Durante una cena, i leader dei Paesi europei si scambieranno le prime idee sul nome della persona che proporranno alla testa della Commissione, in particolare alla luce del risultato delle elezioni (in aggiunta ai consueti criteri: nazionalità, profilo, genere …). Il candidato prescelto come futuro presidente della Commissione dovrebbe essere annunciato in occasione del Consiglio europeo del 26 e 27 giugno, e quindi passare al vaglio dell’approvazione del Parlamento, che lo nominerà a maggioranza assoluta dei suoi membri.

Successivamente, sarà vacante il posto di Van Rompuy stesso, che giunge alla fine del suo secondo mandato. La scelta delle persone che occuperanno le posizioni di vertice nelle istituzioni europee nel corso della prossima legislatura fornirà un’indicazione della direzione in cui potrà evolvere l’Unione europea in questo periodo.

Il futuro dell’Unione europea, almeno una parte della scelta degli alti responsabili che influenzeranno la nostra vita nei prossimi anni, è nelle nostre mani. Pensiamoci quando andremo a votare a maggio.

 

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