Sfida educativa e ruolo della filosofia nel XXI secolo

Ha ancora senso parlare di anima nel secolo delle neuroscienze? Da Eraclito a Dante, il dialogo promosso dall’Associazione Docenti Italiani di Filosofia e dal Centro per la Filosofia Italiana. L’intervento di Piero Coda
Trento. Monumento a Dante

 «I confini dell’anima non li potrai mai raggiungere, per quanto tu proceda fino in fondo nel percorrere le sue strade: così profondo è il suo logos». Più di 2500 anni fa, il filosofo greco Eraclito tratteggiava il mistero dell’interiorità umana come un percorso quasi abissale in cui i confini si perdono nelle profondità della ragione.

L’umanità ha percorso anni luce da quel detto eracliteo; migliaia e migliaia di chilometri in cui si è stagliata la vicenda dell’Occidente, fatta di sensazionali invenzioni e stupefacenti conquiste, terribili tragedie e gravi ferite. Eppure quel detto suona ancora molto familiare. Ecco che, allora, il weekend di formazione, organizzato tra l’8 e il 10 novembre scorsi, dall’Associazione Docenti Italiani di Filosofia e dal Centro per la Filosofia Italiana, guidate rispettivamente dai proff. Gennaro Cicchese e Aldo Meccariello, presso il centro convegni di Villa La Stella a Firenze, dal titolo “La cura dell’anima. Comunicare, educare, pensare”, ci aiuta a focalizzare una delle grandi provocazioni del XXI secolo: la sfida educativa e, in particolare, la cura dell’interiorità.

Ma ha ancora senso parlare di anima nel secolo delle neuroscienze, nel tempo in cui siamo riusciti addirittura a ricostruire e a vedere la molecola della felicità, in cui ogni mistero dell’umano sembra risolversi e perdersi nella materialità dell’attività celebrale? O c’è un di più irriducibile alla biochimica? O ancora, questo di più è, in realtà, un tutt’uno armonico e inseparabile dall’attività nervosa? E che ruolo hanno, in questo senso, tradizioni vitali del pensiero occidentale come la filosofia e la teologia?

Nel ricordo del filosofo Remo Bodei, morto pochi giorni prima, circa 60 tra giovani ricercatori, professori di Liceo e Università, personaggi importanti del panorama culturale italiano come Piero Coda e Massimo Cacciari, che hanno animato un intenso dialogo durante il sabato mattina, Emilio Baccarini, Luisella Battaglia, Giuseppe Girgenti, Mauro Mantovani, Dario Sacchi, Elena Pulcini (e, a programma, Umberto Curi), si sono confrontati sul tema, riflettendo sulle sfide del mondo contemporaneo e ritornando su alcune delle pagine più intense della storia del pensiero, come quelle di Platone, Aristotele, Agostino, Giovanni della Croce, Rosmini, Nietzsche, Maritain, e molti altri.

Le associazioni organizzatrici, che vantano tradizioni significative (l’ADIF è nata nel 1967 ed ha avuto come primo presidente Gustavo Bontadini, il CFI è attivo dagli anni ’80 e vanta tra i suoi presidenti Ludovico Geymonat, Franco Lombardi, Francesco Barone, Giuseppe Prestipino) raccoglieranno gli interventi dei professori nella rivista quadrimestrale Per la filosofia. Filosofia e insegnamento e pubblicheranno gli atti. L’occasione ha aiutato gli intervenuti a dirigere lo sguardo verso le sfide più urgenti del mondo contemporaneo e, allo stesso tempo, ha permesso loro di cogliere l’opportunità di una riflessione rigorosa e attenta, capace di rendere quello sguardo non improvvisato né gettato a partire dall’emotività con cui vengono assimilate, ogni giorno, notizie su notizie.

L’approfondimento strutturato in una sessione pomeridiana in tre laboratori paralleli ha permesso di focalizzare la complessa sfida del ripensamento della cura dell’anima, che coinvolge temi attualissimi come il rapporto maschio-femmina o quello dell’incontro tra le  diverse culture, aprendo piste rinnovate anche alla luce, per esempio, della rivelazione cristiana, trinitaria in particolare, che mostra una verità non ancora del tutto pensata dall’Occidente: quella di un’interiorità che si scopre relazione agapica e che viene rimandata, per conoscersi veramente, verso la carne dell’altro.

Significativa, in questo senso, l’immagine dantesca che Piero Coda, preside dell’Istituto Universitario Sophia a Loppiano, ha voluto richiamare, alla fine del suo appassionato intervento, laddove il poeta, nel XXXIII Canto del Paradiso, arriva alla contemplazione della Trinità e, nel secondo cerchio, quello del Figlio, vede l’immagine dell’uomo: «dentro da sé, del suo colore stesso, /mi parve pinta de la nostra effige/: per che ‘l mio viso in lei tutto era messo». Dante – commenta Coda – dopo tutto il cammino che ha fatto, vede, nel cuore del mistero di Dio, l’uomo. Vuol dire, allora, che se il destino dell’uomo è Dio, l’uomo è il destino di Dio, senza separazione e senza confusione. E cosa può mancare ancora a questo pensiero, così profondo, sull’uomo e sulla sua interiorità? Fare finalmente i conti, col pensiero e con la vita, con la rivelazione definitiva di quel Figlio di cui l’uomo è il riflesso: il grido dell’abbandono in croce nell’ora nona.

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