Sempre più cose, sempre più scontenti

Sembra provocatorio, sembra anzi una gaffe, ora che c’è una crisi economica grave e pericolosa, dire che abbiamo sempre più cose. Eppure è vero, perché il sistema industriale-pubblicitario moltiplica all’inverosimile stimoli e spintoni, per mantenere almeno l’attuale livello di mercato, convincendo a comprare anche chi ha meno, magari con promesse mirabolanti: pagherai tra sei mesi, tra un anno (e perché non tra cinquant’anni? O pagheranno i figli per le colpe dei padri, come nell’antica Grecia e nell’antico Israele?). E, dall’altra parte del miraggio: ti portano una poltroncina e zoppica, una cucina e dopo mesi non riescono a montarla perché è sbagliata, una lavatrice e non funziona (parlo di fatti). Sembra che una parte sempre più grande della popolazione lavori per rabbia, per arraffare il prima possibile i miraggiosi soldi (da pronunciare con la o molto aperta e la 1 più vicina alla r: i sòrdi, i sòrdi…) anche in cambio di niente, se è possibile. Viviamo appunto in un sistema di miraggi (basta accendere la televisione, orrida all’80 per cento, se vogliamo essere generosi) e lo chiamiamo normalità, indotti a pensare e a comportarci in modi sempre più anormali, ma con disinvoltura. Se avessimo acquisito meno ignoranza e meno insensibilità spirituale, ci accorgeremmo con raccapriccio della danza macabra a cui la vita quotidiana è ridotta molto spesso e in molti luoghi. Ma per accorgercene occorre passare dal canale materiale a quello psicologico, poi spegnerli entrambi e accendere il canale spirituale, salire cioè al livello sul quale non basta voltare le spalle alla verità per impedirle di esistere, di regnare e di chiamarci alla pace (non quella che dà il mondo). Sempre più cose, sempre più scontenti: come dimostra anche il fatto che siamo capaci di guardare gli (un)reality show o il festival di turno senza scoppiare a ridere ogni tre secondi prendendo atto della loro comicità involontaria, che è il segno più certo del tragico ovunque dominante. Ma non c’è da disquisire troppo: è che il miraggio delle cose, cose, cose, è ancora più mortale delle droghe (che sono solo alcune povere cose), perché uccide dentro lasciando fuori l’apparenza di vivere, distratti per distrazione dalla distrazione, direbbe T.S. Eliot. Se non avessimo gli occhi e il cervello foderati di prosciutto, come si dice a Roma, ovvero di ideologie, ci accorgeremmo che l’essere umano, anche il più abbrutito, è veramente spirituale, ha esigenze e destino veramente soprannaturali, perché il gatto sazio dorme, l’uomo sazio entra in frenesia e vuole (illudendosi) di più, di più, due cose invece di una, due donne invece di una, tre invece di due, due milioni, tre, quattro, a duecento all’ora invece di cento, per arrivare un’ora prima (magari al cimitero). Le cose scelte al posto dell’anima (il filosofo direbbe la quantità al posto della qualità, in senso assoluto), diventano una maledizione, un agguato, un assassinio: non lo sono in sé stesse, ma lo diventano in noi. E l’assassinio è sempre la massima figura della falsificazione, è assai più impressionante come impostura che come fatto di sangue: disperato tentativo di manipolare la realtà, di piegarla al proprio torturato orgoglio, di cancellarla invece che di servirla umilmente. Con la sorpresa, magistralmente rappresentata dalla grande arte di Oscar Wilde nel Ritratto di Dorian Grey, che afferra il protagonista assassino quando, credendo di pugnalare 1′ altro, si accorge di aver accoltellato a morte sé stesso. Allora non resta che cercare una liberazione integrale, non dalle cose ma dal loro malrichiesto, malriposto incantesimo.

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