Se si banalizzano Vangelo e Costituzione

Dopo l’approvazione della legge Cirinnà sulle unioni civili, il premier ha spiegato la forzatura del voto di fiducia con il giuramento prestato alla legge fondamentale dello Stato. Qualche considerazione  sul senso della Carta e la laicità evangelica davanti al potere
Matteo Renzi a "Porta a Porta" di Bruno Vespa

Chi, come Renzi, deve parlare a un grande pubblico segue regole semplici, rese note da Publitalia con la famosa discesa in campo di Berlusconi: vale più l’immagine che il contenuto e, soprattutto, non bisogna mai scordarsi che l’elettore medio è paragonabile a un ragazzino di 11 anni, umorale e instabile, da convincere con battute a effetto, facilmente comprensibili, e non con concetti complessi come è, invece, la politica e la stessa esistenza.

 

Solo la tragica morte di Aldo Moro, ad esempio, impedisce che si faccia ancora ironia sul suo argomentare definito sprezzantemente “fumoso”, evidentemente non da coloro che decisero la sua eliminazione.

 

Si può spiegare così la recente battuta del presidente del Consiglio dopo l’ennesimo vittorioso voto di fiducia con cui è abituato a superare gli ostacoli sul cammino riformatore della sua agenda. Seduto nello studio televisivo di Bruno Vespa, il luogo, come quello di Fabio Fazio, dove non esiste dibattito ma solo un felpato ascolto, il segretario del Partito democratico e leader del governo ha detto: «Non ho giurato sul Vangelo ma sulla Costituzione».

 

L’espressione è efficace e comprensibile ma destabilizza le radici della convivenza. Cosa è che ci tiene assieme? La Costituzione italiana non è un testo pattizio che ogni maggioranza può cambiare a suo piacimento, variando, se necessario, le regole elettorali. Il testo del 1948 riconosce qualcosa che sta prima dello Stato e del suo potere: la centralità della persona umana come chiave di volta di una nuova architettura costituzionale riedificata dopo l’abominio totalitario. Evidentemente alla radice di questa consapevolezza, estranea all’ordinamento sabaudo d’anteguerra, esiste il frutto di una cultura cristiana in dialogo fecondo con diversi filoni di pensiero chiamati a misurarsi con l’abisso dell’autodistruzione. Non basta citare La Pira, Dossetti, Mortati o Lazzati, ma bisogna tener conto di quei “ribelli per amore” che, come Teresio Olivelli, terminò l’esistenza in un campo di sterminio invece di approdare all’assemblea costituente.

 

E, tuttavia, Vangelo e Costituzione non si possono sovrapporre, ma neanche mettere in contrapposizione. I cristiani non seguono un apparato di norme che vogliono imporre a tutti ma, come diceva Pietro Scoppola ne La democrazia dei cristiani, sono portatori di un annuncio che è motivo di continuo inappagamento rispetto a ogni ordine costituito (di «un principio di non appagamento» parlava Aldo Moro), che li porta a  rifiutare ogni idolo del potere, anche quello "cristiano", per difendere la dignità dell’uomo e promuovere la giustizia sociale fino al diritto di resistenza (principio implicito della Carta).

 

In quest’orizzonte autenticamente laico, alieno da ogni sacralizzazione del potere, fosse pure quello meschino di chi decide le candidature, si possono avere posizioni diverse e contrapposte sulla declinazione di tale tensione politica verso il bene comune, ma mai ipotizzare l’abiura o la scissione pratica tra fondamento costituzionale e scelta evangelica. Un’affermazione del genere, oltre a banalizzare il percorso del cattolicesimo democratico, teoricamente giustifica il ritorno di un clericalismo da riconquista e il relativismo della Carta costituzionale ridotta a patto temporaneo che certifica l’assetto di potere di una maggioranza, anche valoriale, sull’altra. Quindi la dissoluzione delle ragioni della coesistenza che resta possibile solo in base al monopolio della forza.

 

L’esempio renziano del giuramento, probabilmente fa riferimento alla prassi di un cattolicesimo politico ridotto a quota di garanzia di una minoranza di parlamentari nominati su indicazione delle gerarchie, sul presupposto, comunque, che le questioni più importanti vengono affrontate in sede extraparlamentare direttamente dai “vescovi pilota”, come li definisce Francesco.

 

Una deriva “clericale” che associazioni e movimenti possono replicare quando indicano ai vertici dei partiti i “nostri” da inserire nei posti presumibilmente sicuri di qualche lista. Modi di fare che non c’entrano con l’adesione al Vangelo che genera, invece vocazioni di servizio al bene comune da portare avanti con autonomia e responsabilità personale.

 

Tolta di mezzo ogni interpretazione confessionale che vorrebbe imporre inutilmente una morale religiosa a chi credente non è, resta la questione di merito della legge Cirinnà sulle unioni civili presentata, apertamente, come una tappa verso il matrimonio omosessuale.

 

Senza farsi troppi problemi Renzi ha tirato diritto, come fa spesso, evidenziando comunque su questo punto il pensiero convinto di una nuova “classe dirigente” di formazione cattolica, così paradossalmente agognata dai documenti episcopali, decisamente orientata a favore di quella che viene definita una “conquista di civiltà” (il ministro Franceschini ha salutato come “un raggio di sole” il referendum irlandese a favore dei matrimoni tra gay). Una convinzione così radicata da giustificare, a febbraio, la forzatura del dibattito in Senato, senza passaggio in commissione, e, a maggio, il ricorso al voto di fiducia alla Camera che obbliga a votare “si” o “no” eliminando ogni dibattito.  

 

Per ridiscutere ciò che si è voluto imporre con la logica dei numeri non resterebbe, ora, che il ricorso al referendum abrogativo con ulteriori lacerazioni e schieramenti sostenuti in nome della fede e manifestazioni piene di simboli religiosi che giustificano e rafforzano la battuta superficiale ma popolare del premier. Come si fa ad uscire da questo vicolo cieco? Non esisteva un modo ragionevole per riconoscere la dignità delle persone omosessuali senza mettere in discussione o relativizzare il matrimonio e aprire la strada alla tecnica dell’adozione che legittima, di fatto, l’utero in affitto? Un ragionamento laico, aperto, senza selezione tra valori negoziabili e non negoziabili. Secondo Costituzione, non contro.

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