Salvini ha davvero il consenso degli italiani?

Il leader leghista, giunto al governo, vola nei sondaggi di opinione. Anche chi lo contesta, in nome del rispetto dei diritti umani, si percepisce come minoranza. Ma esiste una società capace di offrire una diversa narrazione della realtà
ANSA/MATTEO BAZZI

Sin dai primi passi del nuovo governo, il leader della Lega si muove come se fosse il capo effettivo dell’esecutivo. Pur essendo teoricamente il socio di minoranza nel contratto siglato con i 5 Stelle, che hanno mietuto quasi il doppio dei voti lo scorso 4 marzo, Matteo Salvini mostra di saper utilizzare i media mettendo al centro i temi che davvero gli interessano.

Il partito, che porta ormai il suo nome, è cresciuto da un marginale 3/4% all’attuale quasi 18% fino a sfondare, nei sondaggi Swg, la quota del 29%. Ciò vuol dire che, assieme al M5S, rappresenterebbe il 60% dell’elettorato, mentre, con gli altri sodali del centrodestra, potrebbe guidare una coalizione con oltre il 40% dei consensi, utile come parametro della vittoria in future leggi elettorali maggioritarie.

L’opposizione politica sembra frastornata e divisa. Manca un dibattito aperto sulle ragioni della sconfitta che, nel Pd, sembra chiedere solo Ugo Sposetti, ex amministratore del Pci, ora alle prese con il doloroso licenziamento dei dipendenti del partito, dopo quelli del quotidiano l’Unità.

Mare nostrum

Ma ciò che importa è la consistenza di quella parte della società italiana che, a prescindere dall’orientamento politico, su questioni importanti non è certamente d’accordo con Salvini. A cominciare dalla questione dei flussi dei migranti, che è stata oggetto di una vera e propria piattaforma per il nuovo governo presentata, prima delle elezioni politiche, da molte associazioni cristiane, dietro l’impulso del Centro Astalli, realtà collegata al servizio internazionale a favore dei rifugiati promosso dai gesuiti. Il 31 maggio, lo stesso giorno in cui si è sciolto il rebus del nuovo esecutivo a trazione leghista, il centro romano dei gesuiti ha terminato, presso l’università Gregoriana, un ciclo di incontri dal titolo emblematico (“Aiutarli a casa loro?”), dedicati agli scenari della politica europea sulle migrazioni.

A tenere la relazione centrale è stato invitato Enrico Letta, ex presidente del Consiglio italiano per pochi mesi (da aprile 2013 a febbraio 2014) perché dimissionato dallo stesso Pd per far posto a Matteo Renzi. Letta, che ora dirige un prestigioso istituto di studi politici a Parigi, ha evitato ogni polemica con i governi di centrosinistra successivi al suo, ma ha rivendicato il valore dell’“operazione Mare Nostrum” che ha impiegato marina e aeronautica militare per il salvataggio dei migranti in fuga dalla Libia, oltre al contrasto allo sfruttamento degli stessi. Una scelta politica assunta dopo la tragedia di Lampedusa dell’ottobre 2013 (366 morti annegati e 20 dispersi per il naufragio di un’imbarcazione) e dettata, come ha riconosciuto Letta, dalla sensibilizzazione ricevuta dal Centro Astalli. Come è noto, Mare nostrum è stata fortemente criticata in Italia e non ha ottenuto molti aiuti dai Paesi europei che hanno, invece, premuto per promuovere, dal novembre 2014, l’operazione Triton, sostituita da Thesis a partire dal febbraio 2018.

Scelte che hanno visto il prevalere delle finalità di controllo delle frontiere, ribadito con il memorandum d’intesa italo libico siglato da Gentiloni nel febbraio 2017 in continuità con l’accordo stabilito con Gheddafi nel 2008 dal governo Berlusconi, e ministro degli Interni leghista Maroni, per finanziare il controllo dei migranti da parte della guardia costiera libica.

L’intera operazione è stata suggellata con gli accordi diretti tra il ministro agli Interni Minniti e i capi tribù, o sindaci, della regione interna del Fezzan, per fermare i migranti provenienti dal Sahara direttamente sul territorio di un Paese attraversato da una guerra per fazioni, scatenata dalla Francia con il consenso, anche se recalcitrante, del governo di centrodestra che comprendeva il partito di Salvini.

Esternalizzazione delle frontiere

Una sorta di delocalizzazione della gestione del flusso migratorio che ha suscitato un forte sdegno da parte di molte associazioni per i diritti umani. Dissenso che è cresciuto fortemente dopo le rivelazione sulle condizioni orribili di detenzione dei migranti in Libia. Come riporta Avvenire, è lo stesso segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, dopo rigorose inchieste della stessa organizzazione, ad affermare che «i migranti sono stati sottoposti a detenzione arbitraria e torture, tra cui stupri e altre forme di violenza sessuale». Nel documento consegnato il 12 febbraio 2018 al Consiglio di sicurezza dell’Onu si parla di «rapimenti per estorsione, lavori forzati e uccisioni illegali» che avvengono, purtroppo, sia nei centri governativi che nei lager clandestini, mentre sempre Guterres denuncia «la condotta spregiudicata e violenta da parte della Guardia costiera libica nel corso di salvataggi e/o intercettazioni in mare».

La diminuzione degli sbarchi, che nei primi mesi del 2018 ha registrato una flessione di oltre il 70%, si spiega con tale strategia che fa il paio con l’accordo vigente tra Unione europea e Turchia, contestato dalle organizzazioni umanitarie e usato come strumento di pressione da parte di Erdogan.

A partire da questi dati di fatto, si spiega l’incredulità da parte dell’opinione pubblica, informata e solidale, di fronte alle polemiche insorte, anche da parte amica, contro le organizzazioni non governative, impegnate nel soccorso dei naufraghi in mare, raffigurate come “taxi del mare” o “vicescafisti” che lucrano sulla disperazione dei migranti o che sono al soldo di presunti centri occulti interessati a minare l’identità europea istigando l’invasione di legioni di giovanotti di colore mandati a colonizzare un continente in agonia demografica.

La lunga estate inizia con la vicenda Aquarius

È a partire da questa narrazione della vicenda, e non dalla disperazione degli esclusi, che si comprende la decisione del ministro Salvini di negare l’accoglienza nei porti del Paese ai 630 migranti raccolti in mare dalla nave Aquarius, di Medici senza frontiere, su indicazione della guardia costiera italiana. Lo stesso orizzonte di pensiero giustifica l’appellativo di “crocieristi” con il quale il leader leghista ha voluto definire i migranti diretti a Valencia dopo che il governo socialista, appena entrato in carica, ha deciso di porre rimedio al rifiuto italiano, anche se poi non è detto che i migranti accolti non vengano espulsi perché ritenuti illegali dalle autorità spagnole. Ad ogni modo, sembra paradossale che a compiere un gesto umanitario sia stato il premier iberico Sanchez, noto per aver accettato l’incarico dal re senza usare il rito che prevedeva Vangelo e crocefisso. Simboli religiosi hanno accompagnato, invece, la campagna elettorale di Salvini. C’è da capire ora come risponderanno molti degli elettori a questo richiamo identitario davanti ai numerosi rifiuti che il governo apporrà, nella luna estate, ai nuovi sbarchi di migranti richiesto dalle Ong. Finora, infatti, hanno continuato ad arrivare nei porti italiani i migranti trasportati dalle navi militari del nostro Paese. Come le 936 persone sbarcate a Catania il 13 giugno da una nave della guardia costiera. Si tratta in prevalenza di eritrei, tra i quali 200 bambini.

Ma l’obiettivo verso cui spingono molti degli opinionisti vicini alla Lega è quello di proteggere le nostre frontiere chiudendo «ogni accesso all’Italia e riportare in Libia i migranti soccorsi in mare» tramite i cosiddetti “respingimenti assistiti”. Di cosa si tratta? Come spiega Giandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, la proposta è quella di schierare una flotta «a ridosso della costa libica per intercettare barconi e gommoni appena salpati evitando così naufragi e migliaia di morti». Secondo questa proposta, «i malati, bambini soli e donne incinte sarebbero trasferiti in Italia per essere rimpatriati tramite i loro Paesi d’origine», mentre «tutti gli altri (oltre l’80% sono uomini giovani) verrebbero riportati in Libia a piccoli gruppi, utilizzando mezzi da sbarco con scorta dei fucilieri di Marina e lasciati su una spiaggia mantenuta sgombra da milizie e bande libiche con la presenza deterrente di aerei e di una delle fregate Fremm – da mezzo miliardo di euro ciascuna – oggi impiegate come “traghetti”».

Non ci è dato sapere che fine potrebbero fare i migranti lasciati sulla spiaggia libica, ma lo possiamo immaginare. E ci interroghiamo, poi, sul fatto se le donne incinte salvate da tale destino potranno avere accanto a loro i mariti e gli altri figli. Anche nel recente caso dell’Aquarius, infatti, sembra sia stata offerta la possibilità di far sbarcare solo le donne incinte, che tuttavia hanno deciso di continuare il viaggio in Spagna con il resto della famiglia.

Il “programma del buonsenso”

È consigliabile la lettura per esteso del “programma del buonsenso” pubblicato dalla Lega di Salvini. In particolare, il capitolo sulle migrazioni. La lista delle cose da fare è solo all’inizio con il «diniego allo sbarco per le Ong che si pongono ai margini del mare territoriale libico per procurato allarme su naufragio autoindotto e che prelude allo sfruttamento dell’immigrazione clandestina». Il taglio ai fondi per l’integrazione per implementare i costi delle espulsioni ne è la logica conseguenza. La giustificazione è quella – come dice Gaiani che ha il merito di parlare chiaro – di colpire «un giro d’affari che solo in Italia vale 5 miliardi di euro annui (nostri) spartiti tra associazioni, enti e cooperative legate soprattutto agli ambienti politici e culturali cattolici e di sinistra».

Da tale ricostruzione ne discende che ogni presa di posizione contro l’ingiustizia scatenata contro i migranti rischia di apparire ingenua o collusa con il malaffare.

Siamo sicuri che il programma annunciato da Salvini sia quello maggioritario nel Paese? Possibile che non si avverta un disagio nella coscienza negli stessi suoi elettori e in molti che hanno votato i Cinque Stelle?

Si può fare molto di più. «Nessuno può dirsi innocente», come ha detto, infatti, l’Azione Cattolica in un insolito e illuminante comunicato stampa sulla vicenda Aquarius: «Non lo siamo noi, presidenza nazionale, che per un intero giorno ci siamo chiesti se dire o no qualcosa su questa vicenda, temendo di non essere compresi, di essere accusati di fare politica di parte, di non rispettare le tante diverse sensibilità dei nostri aderenti, senza mettere subito davanti a ogni altra considerazione la nostra responsabilità di contribuire a costruire un mondo più umano e il dovere di stare dalla parte di chi soffre».

Non siamo innocenti se ci limitiamo a raccontare le tante belle storie che pure accadono nel nostro Paese, ma non abbiamo la forza di rendere ragione e far maturare una diversa cultura politica che sappia porsi, come dice l’Ac, «dalla parte di chi soffre». Senza dimenticare nessuno. A cominciare dai tanti italiani che si sentono esclusi e come stranieri in patria.

 

 

 

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