Sale in zucca e creanza

Non so voi, ma molti che viaggiano in treno hanno maturato una convinzione: che, dopo aver esteso a tutte le carrozze il divieto di fumare, adesso si dovrebbe proibire l’uso del telefonino. Il cortese invito, diffuso dall’altoparlante, di limitare il volume della suoneria e di parlare a bassa voce viene ridicolizzato da quello che accade, soprattutto se il vagone è composto da un unico grande ambiente. I cellulari squillano in continuazione (avete notato quante novità in fatto di suonerie?), il tono della voce di troppi passeggeri è eccessivo e siamo costretti a sorbirci rendiconti dettagliati sulla vita professionale, sentimentale, amicale, ricreativa di anonimi compagni di viaggio. Con la conseguenza che è difficile leggere, arduo conversare, impossibile lavorare, inconcepibile riflettere. Due le reazioni che montano: requisire di colpo gli invadenti gioielli tecnologici utilizzati nella carrozza e consegnarli al capotreno, oppure scendere alla prima fermata. Invece, finiamo con l’attivare, rassegnati, il nostro telefonino e contribuire al bla-bla generale. L’identità della società occidentale, secondo gli esperti, è il rumore. Siamo la civiltà del fracasso. E tutti diamo una mano. Viviamo in un’epoca in cui si idolatra l’Io, hanno sentenziato da tempo i sociologi. Per cui, avendo fatto dell’Io la principale preoccupazione e il valore centrale della nostra vita, non dovremmo sorprenderci del fatto che i comportamenti egoistici prevalgono su quelli altruistici. I programmi televisivi sempre più insulsi e volgari, i modelli di vita consumistica veicolati dalla pubblicità, i commenti spesso improvvisati su fatti di cronaca cruciali disorientano le convinzioni personali. A che giova, ad esempio, essere sinceri? La sincerità e la falsità hanno perso di valore – si legge nelle ricerche sui comportamenti collettivi – e ormai ognuno crede di poter dire qualsiasi cosa per difendersi o per accusare . Con un aggravante: non c’è alcun rimorso. Ed ecco la sentenza degli analisti: È un cancro maligno poiché genera arroganza e promuove sfiducia, paura, egoismo, crollo dell’autorità . E vale tanto in ambito privato, quanto in quello pubblico. Pensiamo anche all’infedeltà. Significa non stare agli accordi. Sino a poco fa, non rispettare la parola data era ritenuto un fatto di assoluta gravità. Oggi, la fedeltà in politica, per citare un caso, è ritenuta spia di rigidità mentale, di chiusura culturale. Sappiamo che non è così, che cambiare a seconda del mutare del vento non è da uomini, eppure non c’è più un alone di riprovazione intorno a chi prontamente sale sul carro del vincitore di turno. Nella nostra società sono spariti l’infedeltà e il rubare, precisa Vittorino Andreoli, noto psichiatra. E sottolinea un mutamento paradossale: Non solo non generano più un senso di colpa, ma sono ritenute strategie vincenti, fino all’ipotesi che l’infedeltà sia mezzo di stabilità familiare, dal momento che, stando con l’amante, l’infedele è più sereno e riesce a vivere meglio anche i conflitti familiari . Così il nostro tempo si caratterizza per un senso di colpa vuoto da tutto ciò che riguarda l’altro e dalla propria dimensione spirituale. Tutto, ahinoi, perfettamente in linea con quanto informa la cronaca: il barbone umiliato, l’extracomunitario picchiato nell’indifferenza dei presenti, una donna non soccorsa da chi poteva evitare lo stupro. Non c’è senso di colpa – chiarisce Andreoli – in una vita incentrata sul proprio Io. E noi viviamo in una società piena di Io, incapace di usare il Noi. Nei colloqui con ragazzi che hanno ucciso uno o più familiari, egli ha ravvisato la mancanza di senso di colpa prima di ammazzare e dopo l’omicidio. Scrive nel libro Elogio della normalità (Marietti 1820): Impera l’etica della circostanza, per cui non esiste nulla di proibito sempre e di doveroso in ogni circostanza, ma tutto è possibile, dipende solo da quando e come. Quale il motivo? Gli altri, il prossimo, sono solo delle occasioni, delle decorazioni che non impongono alcun dovere: nemmeno i genitori. Poi annota: Una società che tema di mettere dei limiti è priva di senso di responsabilità, manca di princìpi. Serve, insomma, un codice di comportamento per la vita civile . Se ne deduce che l’intelligenza ha vita sempre più dura nel nostro tempo. E va comunque detto che i nefasti condizionamenti esterni non sarebbero sufficienti ad appiattire le nostre menti se non fossimo anche noi almeno un po’ complici della faccenda. Già nel 1985 due scrittori accorti come Fruttero e Lucentini dettero alle stampe un libro che anticipava le indagini di psicologia collettiva. Il titolo? Quanto mai chiaro: La prevalenza del cretino. Lo psicoterapeuta Fausto Manara è fresco autore de Il sale in zucca (Sperlig & Kupfer), un titolo già esplicito, cui fa da corredo l’invito a difendersi dalla stupidità. L’autore ci ricorda infatti che molti dei modelli che vanno per la maggiore ci fanno nascere l’irrefrenabile tentazione di imitarli. Alcuni sono davvero accattivanti per notorietà, successo e ricchezza. Se poi questi protagonisti si dimostrano sprezzanti verso le regole della buona convivenza civile e agiscono a discapito di altre persone, poco importa. Rischiamo perciò di finire irretiti dalla stupidità banditesca. Come evitare l’accalappiamento e bloccare l’istinto gregario? Manara consiglia che per sopravvivere alla stupidità altrui non c’è altro punto di partenza che scoprire la propria. Ecco come: Se avremo la disponibilità a soffermarci sui nostri atteggiamenti privi di buon senso, eccessivamente rigidi, carenti di apertura verso gli altri, impregnati della necessità di dare sempre bella mostra di noi, potremo stare certi che la salvezza è a portata di mano . Questo saggio esercizio servirà a smascherare più facilmente la stupidità altrui, usando la critica e rivendicando la nostra indipendenza di giudizio. Ottimi presupposti. Ma da dove iniziare? Molti testi, usciti nell’ultimo periodo, indicano la necessità di attribuire maggiore considerazione all’altro, agli altri, ad incominciare da un dovuto rispetto per chiunque. La tentazione di infischiarsi degli altri nasce spesso dalla costante condizione di anonimato in cui viviamo, che ci spinge a ritenere che nessuno riferirà le nostre scorrettezze e i nostri eccessi. Tutto muta se gli altri incominciano a non esserci più estranei. C’è un solo modo per incominciare, secondo Pier Massimo Forni, autore di una Piccola filosofia del vivere civile: dire per favore, grazie, buongiorno. Insomma, essere educati e cortesi. Niente di iperbolico. Ma significa anche saper ascoltare, pensare e parlare bene degli altri. Qui è già più difficile. Ma se ci ricordassimo che, quando compromettiamo la reputazione di un altro, compromettiamo la nostra, sicuramente freneremmo la lingua. Se volete essere amati – ammoniva Benjamin Franklin -, amate e siate amabili. Frase fascinosa, questa, ma è talmente dilagante l’inciviltà e profondo lo scadimento della qualità della vita, che i nobili comportamenti individuali possono ben poco contro l’imbarbarimento dei rapporti sociali. Eppure, proprio perché rare, le persone educate e dalle buone maniere, ricche di umanità nelle relazioni interpersonali, colpiscono sempre e suscitano uno spirito d’emulazione. Il portiere del condominio che saluta in modo personalizzato, il commesso di negozio cortese, la centralinista che risponde garbata, l’impiegata che s’interessa al nostro caso diventano un punto luminoso nella giornata. Nella nostra opulenta società, ricca di strumenti per comunicare ma povera nelle relazioni e nella considerazione degli altri, noi possiamo agire deliberatamente in controtendenza. Certi che il nostro comportamento non è mai neutro. Mi sono resa conto – arguiva la scrittrice Peggy Tabor Millim – che non si sfiorano mai le persone in modo tanto leggero da non lasciare traccia. Ciò che noi siamo incide su quanti ci stanno attorno.

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