Roma ripudia la guerra

Con un voto unanime il Consiglio comunale di Roma ha approvato la “mozione Assisi” che chiede di fermare l’export di bombe italiane per la guerra in Yemen. La testimonianza di due cittadini della città “Caput mundi”

Il nostro vescovo, papa Francesco, lo aveva ribadito con forza nell’Angelus del 3 febbraio: «Con grande preoccupazione seguo la crisi umanitaria nello Yemen. La popolazione è stremata dal lungo conflitto e moltissimi bambini soffrono la fame, ma non si riesce ad accedere ai depositi di alimenti. Il grido di questi bambini e dei loro genitori sale fino a Dio. Faccio appello alle parti interessate e alla Comunità internazionale per favorire con urgenza il rispetto degli accordi, assicurare il cibo e lavorare per il bene della popolazione».

Purtroppo, come ribadito più volte su Città Nuova, dal nostro Paese continuano a partire carichi di bombe destinate ad essere utilizzate in quel conflitto.

Di fronte alla carenza di risposte dei diversi governi alle richieste di fermare questi legami di soldi e armi, è nata da Assisi, ispirandosi a La Pira, la convinzione di ripartire dalle città come reti vitali di giustizia e pace tra i popoli. Prima di tutto con un appello del 27 gennaio 2018 rivolto al presidente Mattarella e condiviso da sindaco, vescovo e alcune associazioni, fino ad arrivare a una mozione, approvata con voto unanime dal Consiglio comunale del 18 novembre 2018.

Una mozione approvata anche dalle città di Cagliari, Bologna, Verona e sollecitata il 28 gennaio 2019 con una conferenza promossa da molte associazioni nella sala del Carroccio del Campidoglio. Dopo pochi giorni, il 12 febbraio anche Roma Capitale ha detto il suo sì all’unanimità. Ed è stato significativo notare che, nei lavori di preparazione al voto, i diversi capogruppo hanno avuto la consapevolezza che su questi temi non ci si può dividere, essendo, forse proprio Roma la città della pace e dell’incontro per eccellenza e luogo privilegiato di costruzione di rapporti internazionali di cooperazione, convivenza e solidarietà. Nell’aula Giulio Cesare è stato significativo ascoltare gli esponenti dell’opposizione e quelli della maggioranza unanimi nel dire che «nessuno di noi consiglieri poteva non approvare la mozione di Assisi».

piazza_del_campidoglio

Bisogna, infatti, tener sempre presente che, come esplicitato dalla risoluzione del Parlamento europeo del 4 ottobre 2018, il conflitto in atto nello Yemen è giunto, ormai, al quinto anno e oltre 22 milioni di persone necessitano di sostegno umanitario; che le persone in condizioni di insicurezza alimentare sono più di 17 milioni e che, di queste, oltre 8 milioni versano in uno stato di grave insicurezza alimentare e rischiano di morire di fame.

Adesso più che mai in rete con gli altri comuni, con le associazioni coinvolte e i comitati di cittadini, espressioni di realtà plurali, si dovrà lavorare perché l’approvazione di queste mozioni faccia “rumore”, lanci una sfida che spinga governo e Parlamento italiano a dare attuazione ai principi costituzionali bloccando l’esportazione di armi prodotte in Italia o che transitano per l’Italia, destinate all’Arabia Saudita e a tutti i Paesi coinvolti nel conflitto armato in Yemen.

Non è un’esigenza teorica e astratta, non si tratta di essere pacifisti per un giorno o, come ha detto la sindaca di Assisi, nell’iniziativa di presentazione della mozione, “pacifisti da pasticceria”, ma di credere nell’impegno diretto e nella “cultura che nasce dalla vita”.

Crediamo che sia venuto il momento di guardare noi stessi con gli occhi degli altri. Occhi di uomini, donne e bambini non solo dello Yemen e del Sulcis Iglesiente, dove quelle bombe sono prodotte, ma di tutti quei luoghi minacciati dai conflitti e dalla mancanza di giustizia.

Dalla Caput mundi arriva un segnale verso quel processo di comprensione dell’altro, di costruzione della relazione con l’altro, che è la pre-condizione per una politica nonviolenta globale che consenta a piccoli ma energici passi l’affermazione di una economia disarmata.

Come ci ha detto Francesco parlando della guerra in Yemen, «ci sono dei bambini che hanno fame, hanno sete, non hanno medicine, sono in pericolo di morte. Portiamo con noi questo pensiero a casa».

 

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