Roma e gli sgomberi dei senza casa

Il palazzo evacuato con la forza nel centro della città mostra il limite della logica emergenziale e la necessità di affrontare la grande questione immobiliare della Capitale
Roma - senza casa

Ogni estate torrida fa esplodere le contraddizioni presenti nella città capitale d’Italia. Nel 2015 un funerale kitsch nel quartiere di Cinecittà rese evidente la ben nota pesante presenza di famiglie storicamente legate a pratiche malavitose. Ora nell’agosto 2017 lo sgombero degli occupanti di uno storico palazzo, già sede della fallita Federconsorzi, posto nella stessa piazza Indipendenza dove si trova la sede del Consiglio Superiore della Magistratura, ha fatto conoscere l’anomalia di una città dove abbondano sia “le case senza abitanti che gli abitanti senza casa”.

Un fenomeno complesso che abbiamo analizzato su Città Nuova con un dossier nel gennaio del 2014 per capire il «paradosso dell’emergenza abitativa al tempo della cementificazione».

La centralità del luogo ha reso più eclatante le immagini traumatiche di quanto avvenuto nel maggio 2015 a ponte Mammolo quando le ruspe hanno abbattuto gli alloggi di fortuna di molte famiglie di immigrati, con impieghi regolari e irregolari nelle fasce del lavoro povero cha si annida nei settori della logistica, dell’edilizia e dei trasporti.

Le immagini del 24 agosto hanno messo in evidenza le fasi concitate della evacuazione finale dell’immobile da parte delle donne e dei minori e dei malati, dato che gran parte dei migranti, in prevalenza eritrei ed etiopi, erano rimasti a bivaccare nella piazza da dove sono stati rimossi anche con l’uso degli idranti. Assolutizzare il giudizio, per di più dall’esterno, non aiuta a comprendere la situazione.

Il capo della Polizia, Franco Gabrielli, già prefetto di Roma, ha mostrato come al solito una grande dose di equilibrio. Non ha avuto remore nel condannare certe direttive (“spezzategli le braccia”), urlate imprudentemente da un dirigente delle forze dell’ordine, facendo tuttavia notare la responsabilità effettiva di chi ha permesso il prolungarsi di una situazione inaccettabile per degli esseri umani.

Non la pensano così certi mezzi di stampa, come il quotidiano Libero, che hanno sbeffeggiato Gabrielli descrivendolo come un ignaro capo boyscout. Su tali giudizi pesa evidentemente il fastidio verso la franchezza che l’alto funzionario ha avuto nel riconoscere la gravità degli atti compiuti dalle forze dell’ordine a Genova nel 2001, presa d’atto che non è mai arrivata dall’allora capo della Polizia, Giovanni De Gennaro, passato alla direzione dei servizi segreti e poi alla presidenza di Finmeccanica Leonardo. Da qualche anno gli allievi delle forze dell’ordine ricevono anche una formazione a metodi dissuasivi più efficaci di quelli violenti.

 

Il rimpallo della responsabilità

La polizia, nel caso in esame, ha messo in atto la direttiva del prefetto Paola Basilone che ha ordinato un’operazione di cleaning, letteralmente di pulizia, definita “ben riuscita”, paventando la presenza di infiltrati, anche se il ministro degli Interni Minniti si appresta ora a dare nuove linee guida da seguire in questi casi per assicurare comunque una sistemazione alloggiativa alternativa.

La sindaco di Roma, Virginia Raggi, ha comunicato su Facebook di aver appreso dell’operazione di sgombero «a poco più di 12 ore dall’inizio» e ha chiamato in causa le responsabilità della Regione Lazio per la mancanza di collaborazione nella soluzione abitativa per i migranti eritrei ed etiopi asserragliati a piazza indipendenza dal 2013.

Si tratta di rifugiati che provengono da zone di guerra e hanno ottenuto il diritto d’asilo. Non rappresentano, in questo caso, l’avamposto dell’invasione islamica paventata da alcuni, perché provengono, in gran parte, da quelle antiche chiese cristiane africane dei territori che hanno conosciuto la colonizzazione italiana.

A quanto pare vorrebbero in gran parte andare via dall’Italia, ma il regolamento vigente a livello europeo (Convenzione di Dublino del 2013) li obbliga a dimorare in un Paese che non riesce evidentemente a trovare soluzioni di reale integrazione.

I conflitti di competenza e le polemiche tra le istituzioni non hanno impedito alla Caritas romana non solo di stare sulla piazza e prestare i primi soccorsi ai soggetti più fragili, ma di criticare apertamente una gestione inadeguata della situazione invocando «l’istituzione di un tavolo permanente presso la Prefettura, con Comune e Regione, per il monitoraggio e la gestione delle occupazioni».

Non ha avuto remore ad esporsi neanche il vescovo ausiliare di Roma, Paolo Lojudice. Sulla stessa linea anche i gesuiti del Centro Astalli per i rifugiati e la Comunità di Sant’Egidio. Ovviamente nessuno di tali soggetti, ben presenti dentro le piaghe della Capitale, può considerare la sistemazione d’emergenza come una soluzione auspicabile. Sempre la Caritas ha fatto notare che «sono ancora molte le situazioni di occupazioni irregolari presenti nella Capitale, che non riguardano solo rifugiati e immigrati e che vedono coinvolte anche numerose famiglie romane».

 

Disagio abitativo e apolitica

Sono noti i problemi di sopraffazione che possono insorgere in tali precarie situazioni di promiscuità. Le immagini dell’evacuazione del palazzo ha mostrato anche alcuni degli occupanti mentre lanciavano dall’alto una delle bombole del gas utilizzate per la cucina e questo ha rafforzato la tesi di quotidiani come il Tempo che sta conducendo, per confermare la presenza di comportamenti criminali, una mappatura di tutte le occupazioni abusive degli immobili nella Capitale e di quei movimenti, cosiddetti antagonisti, che sostengono e cercano di organizzare il diritto all’abitazione per chi resta senza casa.

Per chi conosce anche di striscio la situazione delle periferie sa bene l’estrema precarietà che si vive in certi alloggi popolari che necessitano di un presidio permanente per evitare appropriazioni indebite. Esistono aree di forte presenza malavitosa che la polizia ha difficoltà a reprimere.

Altra cosa è l’occupazione di grandi strutture private che risponde ad obiettivi propriamente politici come quelli di colpire gli interessi delle società che gestiscono grandi proprietà immobiliari, spesso provenienti da dismissioni del settore pubblico. Così a Roma si discute del destino delle immense cubature delle caserme militari dismesse in zone di prestigio quali il centralissimo Prati.

La destinazione anche parziale di queste strutture ad abitazioni accessibili per famiglie con redditi bassi permetterebbe di ottenere l’obiettivo di non creare quartieri ghetto dove concentrare il disagio di una metropoli. Su queste istanze di politiche sociali strettamente connesse con il governo urbanistico della città, è cresciuto il consenso intorno all’attuale sindaco di Barcellona, Ada Colau, espressione di un forte movimento antisfratti denotato da un contrasto deciso verso la proprietà di molti immobili da parte delle banche.

 

Patrimoni immobiliari e senza casa

Il palazzo di piazza Indipendenza, che poteva essere liberato da tempo e con molto meno chiasso come riconoscono ora in tanti, è di proprietà di Idea Fimit, società di gestione del risparmio controllata dal gruppo De Agostini, colosso tra l’altro dell’industria dell’azzardo (Lottomatica).

I suoi progetti di valorizzazione immobiliare hanno subito dei danni dall’occupazione illegale dei rifugiati eritrei ed etiopi. A quanto pare, secondo alcune fonti di stampa, la Idea Fimit avrebbe dovuto pagare ingiustamente utenze, imposte e tasse pur non potendo esercitare il diritto di proprietà.

Il clamore dei fatti ha dato una visibilità certamente non richiesta ad una società che possiede «9 miliardi di masse in gestione e 40 fondi immobiliari di cui 5 quotati in Borsa» e ha in ballo altri grandi progetti e investimenti.

Ad esempio l’urbanizzazione di una vasta area della campagna romana, zona Divino Amore, ostacolata decisamente da reti associative contrarie all’ulteriore consumo di suolo in una città che vive il paradosso di avere molte “case senza abitanti e famiglie senza casa”.

Come quelle accolte da un mese nell’atrio della centralissima Basilica Santi Apostoli, vicinissima alla sede della prefettura. Il volto di questa esclusione dolente può far sorgere qualche domanda di senso sul nostro comune destino di esseri umani.

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