Ripartire dal Mattarellum

Discutere delle regole elettorali non è una perdita di tempo maè al centro della democrazia. Un sistema che funziona ed è già sperimentato collegando eletto ed elettori  Perchè non adottarlo di nuovo ?  
Proporzionale o maggioritario, forse misto. Si attorciglierà attorno a questi e altri cardini il complicato dibattito che nel Paese si aprirà per dotarci di una nuova legge elettorale. È del tutto evidente che sarà uno dei principali temi nell'agenda Gentiloni. Quasi come è evidente che ai cittadini italiani poco importa di sistema elettorale e sono in molti stigmatizzare il dibattito (non nuovo negli ultimi dieci anni) sulle "regole del gioco" considerandolo una "copertura per problemi ben più seri" che Governo e Parlamento tralascerebbero.   In realtà il tema delle regole è estremamente serio. Le abbiamo cambiate spesso negli ultimi vent'anni per le elezioni politiche. E poi per le regionali, per le Province quando esistevano. Solo il sistema elettorale dei Comuni, negli ultimi vent'anni è rimasto invariato. Il tema della rappresentanza è al centro da tre secoli di analisi, interpretazioni politologiche e filosofiche. Naturalmente si ripercuote sulle scelte e sulla democrazia stessa. È democrazia.   Questa breve premessa per farci una domanda: è giusto impegnare i due rami del Parlamento in una discussione di almeno sei mesi (i prossimi) sul sistema elettorale? Gli inevitabili scontri tra partiti e schieramenti rischierebbero di dividere ancora di più il Paese. Sarà anche per questo che nelle ultime ore si sono moltiplicati, da esponenti politici di primo piano (come Romano Prodi), gli appelli a guardare ai sistemi elettorali del passato, a quelli che già avevano funzionato meglio e provare a rispolverarli. Non a caso, il riferimento è a quel Mattarellum post-prima Repubblica che aveva scritto nel 1993 un certo Sergio Mattarella. Pochi allora sapevano chi fosse il futuro Presidente della Repubblica. "Uomo-macchina" della DC, politico cattolico vecchio stampo, saldo nei principi e capace di ottenere fiducia anche dalle opposizioni.   Piace oggi quel Mattarellum dai 475 collegi uninominali per la Camera, e 232 per il Senato. 155 seggi residui della Camera assegnati ai partiti che avessero superato la soglia di sbarramento del 4 per cento, mentre 83 seggi restanti del Senato assegnati su base regionale. Un sistema elettorale maggioritario, corretto da una sensibile quota proporzionale pari a un quarto dei seggi di ciascuna camera. È stato sostituito nel 2005 dalla riforma Calderoli, con il "Porcellum" di berlusconiana memoria.   Tra i punti forti che oggi potrebbero essere i vettori di una reintroduzione del Mattarellum vi è proprio quello dei collegi uninominali. E l'accantonamento del sistema delle preferenze che si presta a troppe interpretazioni e gestioni non sempre chiare. Quando venne scritto, nel 1993, (all'indomani di Manipulite) come oggi (con una crisi economica che ha demolito anche molta fiducia pubblica nelle istituzioni) ricostruire il rapporto eletto-elettore è determinante. Collegi da 120-150mila abitanti che eleggono ciascuno un Deputato, permetterebbe questo obiettivo. Va però chiarito come i partiti, piccoli o grandi, selezionino i loro unici rappresentanti in ciascun collegio. E qui entrano in gioco le "primarie", normate per legge in modo chiaro e imprescindibile, ma anche il modo in cui si forma e si seleziona la classe dirigente, nonché il vincolo di mandato cioè l'impossibilità per un eletto in Parlamento di cambiare partito a legislatura in corso.   Di certo il Mattarellum è lì, già scritto e tre volte testato, approvato e abrogato. Ha consentito una stabilità del sistema e ancor oggi, in molti collegi, gli elettori si ricordano chi fosse il loro rappresentante (conta poco se di destra o di sinistra) eletto nel 1996 o nel 2001. Forse è questa la leva sulla quale potrà spingere, in parte, anche il suo autore e relatore dall'alto del Quirinale. Si torna a credere nella rappresentanza se chi viene eletto non diventa un fantasma, come verificato grazie a sistemi elettorali nei quali hanno prevalso le designazioni dei partiti, con le segreterie assediate da raccomandazioni e polemiche, posizionamenti e colpi dell'ultima notte. Sistemi che hanno contribuito ad allontanare "l'eletto" dalla gente, dalle persone che devono avere un riferimento e sapere che chi siede alla Camera o al Senato conosce bene quella porzione di territorio dove vive e politicamente opera. Così bene che può lavorare nell'interesse politico generale, per il Paese, come sancito dalla Costituzione. Ma così bene anche da sapere che chi lo ha eletto, quando tornerà a casa, potrà andare a suonargli il campanello, vederlo a messa, al mercato, al bar (come avviene con i sindaci), fargli i complimenti per quell'emendamento, per quella dichiarazione in aula o anche tirargli le orecchie per quella legge votata su spinta del partito che però non risponde alle esigenze della comunità.   I collegi uninominali finirebbero anche per non penalizzare le periferie, le zone interne del Paese, quelle che entrerebbero nel dimenticatoio se il prossimo sistema elettorale introdurrà le preferenze: chi le cerca, non andrebbe certo a prenderle in zone a bassa densità di popolazione, nei piccoli paesi, quando può invece servirsi agilmente di qualche condominio e di un buon quartiere non senza gradita (al candidato) compattezza di "origine geografica".   Le Camere non verranno sciolte e non si tornerà al voto sino a quando non vi sarà una nuova legge elettorale, anche per il Senato. Non è tanto la sentenza della Corte costituzionale del 24 gennaio sull'Italicum a preoccupare osservatori e addetti ai lavori, quanto la necessità di stabilizzare il sistema di gioco, dando al Paese regole chiare. Non senza favorire un rapporto più stretto tra chi elegge e chi viene eletto. La volontà di partecipazione è stata evidente. Se il Mattarellum fosse in grado di rinvigorire pezzetti politica e istituzioni, eviteremmo di ripiombare nell'eterno dibattito che precede e consegue alla scrittura di una legge elettorale. Questa volta sì con il rischio di far implodere i Palazzi.

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