Da Riad a Beirut passando per Parigi

Saad Hariri dovrebbe tornare in patria per la festa dell’Indipendenza. Paradossale fine di una vicenda che ha dimostrato, se ne ce ne fosse bisogno, la fragilissima indipendenza di una Repubblica sotto influenza straniera
il presidente Michel Aoun, a destra, e il primo ministro Saad Hariri (AP Photo/Hussein Malla)

Lo strano “soggiorno” del premier Saad Hariri a Riad, in Arabia Saudita, si è finalmente concluso a Parigi, anche grazie alla mediazione del presidente francese Emmanuel Macron. Le due settimane di Hariri a Riad hanno tenuto il Libano con il fiato sospeso. Le ipotesi dei media su cosa fosse successo si sono susseguite senza numero, anzi un po’ di più. Dopo l’annuncio a sorpresa delle sue dimissioni da primo ministro del governo libanese, il timore di un arresto o di un soggiorno coatto ha preso sempre più piede con il passare dei giorni e la mancanza di spiegazioni accettabili se non le solite accuse di marca saudita contro i “terroristi” iraniani e i loro sostenitori libanesi del movimento Hezbollah. Il presidente della repubblica, Michel Aoun, non ha accettato fin dall’inizio le dimissioni di Hariri, fatte per telefono e in televisione da un Paese straniero, affermando che non le avrebbe neppure prese in considerazione senza aver parlato con lui di persona, in Libano.

Tra la gente, come sempre, sono circolate le ipotesi più fantasiose e complottiste per spiegare qualcosa di effettivamente inaccettabile. L’ingerenza della monarchia saudita nella politica libanese, peraltro, non è affatto una cosa nuova. Ed è pure evidente che l’episodio va inserito in un contesto molto più ampio, che è quello dello scontro fra i due grandi blocchi mondiali che stanno cercando spazi l’uno a spese dell’altro in un Medio Oriente dilaniato da conflitti incrociati e molto complessi. Il povero Libano non è che un piccolo pedone in una scacchiera di pezzi di altissimo profilo che si scontrano mandando avanti tutti gli altri: alleati, dignitari e truppe cammellate.

In mezzo a tutto questo rumore di fondo è intervenuto perfino il patriarca maronita, il cardinale Béchara Raï, invitato a Riad dall’82enne re Salman e dall’erede al trono, il principe Mohamed bin Salman. Per la verità pare si trattasse di una visita programmata in precedenza, però il fatto è stato abbastanza sensazionale: non era mai accaduto che un capo religioso non musulmano potesse mettere piede nel Regno saudita fin dalla sua fondazione negli anni 30. Il colloquio pare vertesse sulla creazione in Arabia di un nuovo Centro internazionale permanente per il dialogo interreligioso. Sarebbe un annuncio inaudito ma sulla linea di apertura inaugurata dal giovane erede al trono. A margine di questo incontro, il cardinale ha potuto incontrare personalmente a Riad il dimissionario premier libanese, il giorno 15. L’unica cosa che si è saputa è che il cardinale avrebbe manifestato il suo sostegno ad Hariri. Il prelato avrebbe detto ai giornalisti: «Mi sono convinto sulle ragioni della sua dimissione». Aggiungendo poi: «Tornerà in Libano appena possibile».

Cosa poi sia veramente successo naturalmente non si sa, ma la diplomazia francese si è data un gran da fare e sabato 18 novembre, di mattina presto, Hariri è arrivato in volo a Parigi, ospite del presidente francese Macron, che si era impegnato in prima persona nelle trattative per sbloccare la situazione. Al di là dei contorni misteriosi (nessuno ha ancora veramente capito cosa sia successo a Riad tra Hariri e i sauditi), alcune parole che il premier libanese ha detto a Parigi aprono uno spiraglio sulle prospettive per il Libano, dove Hariri tornerà paradossalmente proprio per la festa dell’indipendenza del 22.

Il premier ha promesso che si pronuncerà sulla situazione politica libanese solo dopo aver parlato con il presidente Aoun. Adesso, ha detto Saad Hariri «l’atmosfera è favorevole per un’intesa con il presidente Aoun. E gli ultimi sviluppi hanno dimostrato che la sicurezza del Libano e la sua stabilità sono una linea rossa». Ha poi aggiunto: «La prossima tappa è quella dell’opzione per una modifica del compromesso», probabilmente intendendo l’accordo politico che ha consentito l’elezione di Aoun alla presidenza della Repubblica e la nomina dello stesso Hariri a capo del governo.

Se ne potrebbe dedurre che Hariri vorrebbe e/o dovrebbe aggiustare il tiro sul governo libanese. E il nodo che viene subito in mente è la partecipazione dei partiti sciiti, Amal e Hezbollah, che fanno attualmente parte dell’esecutivo, ma che non sono certamente graditi a Riad. Soprattutto il secondo. Secondo il quotidiano francese Le Monde, a questo punto «l’avvenire politico di Saad Hariri e la sua capacità o no di recuperare la sua poltrona di primo ministro, maggiore incognita di questa nuova fase, dovrebbe figurare nel menu delle discussioni».

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