Rambaldi e le sue creature fantastiche

Carlo Rambaldi, che risiede attualmente a Los Angeles, con la moglie Bruna con cui è sposato da 45 anni, si è trovato a Roma per il Fantafestival che gli ha dedicato un omaggio alla carriera. Conosciamo così più da vicino la genialità e la professionalità di statura internazionale dell’autore che ha collaborato con i più grandi maestri del cinema: Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini, Pupi Avati, John Houston, Orson Welles, Ridley Scott, Steven Spielberg. Ed è proprio dalla collaborazione con quest’ultimo che nasce la creatura fantastica che più d’ogni altra occupa un posto privilegiato nell’immaginario collettivo: ET, l’extraterrestre. Oltrepassando i confini del linguaggio, grazie allo studio dell’anatomia ed alla gestualità pervasi di sensibilità e fragilità, Rambaldi ci palesa che temi quali la solidarietà e l’accoglienza del diverso, trattati con un linguaggio artistico alto, arrivano a toccare corde universali e possono vincere anche al box office. Non si arriva per caso a certi traguardi ed allora vorrei ritornare alle tue prime sperimentazioni … “Sono nato in provincia di Ferrara, mio padre era un povero meccanico di biciclette, non aveva mezzi. Tuttavia, presi in affitto un laboratorio dove realizzai le mie prime sperimentazioni. Venivo dall’Accademia delle Belle Arti e sin dall’infanzia ero attratto dalla meccanica del movimento e dall’anatomia. Così nacquero nacquero i miei primi modellini e già allora mi dedicavo alla stop-animation. Sono stato sempre concentrato sul mio lavoro. Soprattutto nei momenti più duri della vita, il lavoro e l’arte hanno rappresentato per me un rifugio per far fronte a qualsiasi avversità”. L’incontro con il produttore Dino De Laurentiis è stato determinante.Tra le altre produzioni di De Laurentiis ricordo “La Bibbia”. Di che tipo è stata la tua collaborazione in questo film? “Mi fu richiesto di predisporre l’arca di Noè tramite lo scenografo Mario Chiari, poiché Houston non era soddisfatto dei bozzetti disegnati precedentemente. Nella notte creai un modellino di plastilina. La mattina seguente fu fatto vedere a Houston che ne fu entusiasta. L’arca poi venne ingrandita, sviluppata in diverse versioni e furono creati meccanismi sotto la chiglia per darle il basculaggio nella piscina. Per gli effetti del diluvio furono eseguiti dei modellini per le grandi rocce e per la massa di persone che tentava di sfuggire arrampicandosi su di esse. Ho realizzato tanti modellini meccanici, perché sarebbe stato troppo costoso ricostruire la scena con rocce a grandezza naturale e con persone vere”. Mentre il bozzetto della creatura di “Incontri ravvicinati del terzo tipo” fu ideata in aereo… “Ricordo ancora la telefonata della segretaria di Spielberg che voleva vedermi, ma io avevo prenotato già un aereo per il giorno seguente. C’incontrammo così la sera stessa. Mi parlò della conclusione del suo ultimo film che si rivelava problematica in quanto l’extraterrestre che sarebbe comparso alla fine avrebbe dovuto compiere dei segnali e non ne era soddisfatto. Allora gli dissi: “Guardi che io parto domani per l’Italia”. Lui mi rispose: “OK, fermo il film, non lo faccio uscire. Mi studi lei un personaggio”. In aereo, durante le 12 ore di volo, cominciai a realizzare dei disegni che, al mio arrivo, furono spediti in America e furono subito accettati”. Ma il movimento l’hai seguito tu sul set? “Sì, tutta l’animazione l’ho seguita io. Ricordo che mentre si stava girando Spielberg passeggiava per il teatro dicendo: “L’extraterrestre de Roma!””. Nel ’77 arriva il prestigioso riconoscimento internazionale, l’Oscar per “King Kong” a cui seguiranno quello per “Alien” nell’ 80 e quello per “ET” nell’ 83.A quale dei tre è legata l’emozione più intensa? “Sicuramente al primo. Anche se un po’ ce lo aspettavamo. De Laurentiis era molto fiducioso, e così avvenne. Arriviamo ad “ET”, uno dei film più visti della storia del cinema, rieditato in una nuova versione su tutti gli schermi del mondo. La tua creatura è determinante per il senso stesso dell’opera. A cosa ti sei ispirato? “Spielberg, durante il nostro primo incontro, mi diede alcune pagine della sceneggiatura e dopo tre/quattro giorni avevo preparato un modellino di plastilina che era già l’80 per cento dell’ET che vediamo nel film. La prima questione che mi posi fu di trovare un elemento caratterizzante a livello anatomico mai realiz- zato prima. Mi sono accorto allora che questo elemento poteva essere una testa allungata in avanti e l’idea mi venne da un mio quadro di stile guttusiano, Donne del Delta del 1952, in cui il personaggio centrale ha la testa allungata in avanti. Poi cercai di riprodurre la struttura fisica umana nei suoi tratti essenziali lavorando su elementi terrestri quali braccia, gambe, per giungere ad un risultato finale logico. Il corpo umano è infatti una macchina perfetta. Seguendo tale concetto ho utilizzato elementi terrestri creando però forme differenti. Quando lo vide, Spielberg disse: “Bellissimo! Questa è la strada da seguire”. Poi ET venne ingrandito e arricchito di tutti quei dettagli che sappiamo”. Conosco il tuo carattere schivo, ma a me sembra che il segreto di “ET” non sia solo sul piano tecnico. Lo hai reso umano. C’è un tocco in più. Bisogna avere una sensibilità speciale… “È vero. La gente lo vede come un attore in carne ed ossa e dimentica com’è fatto dentro, che è una creatura meccanica”. La storia di “ET” ci dice che non siamo mai soli. Per te che vivi negli Stati Uniti, quanto conta, dopo l’11 settembre, la condivisione e la solidarietà, soprattutto quando viene a mancare la sicurezza? “Io credo che dopo i tragici eventi che hai ricordato sia cambiato il sistema di vita americano. La solidarietà è stata naturale, automatica direi. Anche il mondo del cinema ne è stato coinvolto e si è fatto promotore di varie iniziative”. Ritorniamo alla tua carriera. La tua creatività ha trovato terreno fecondo anche nel teatro; mi puoi dire di più? “Lavorare per il teatro presenta maggiori difficoltà. Tutto deve funzionare al primo colpo, sempre, tutte le sere. Inoltre, nel lavoro cinematografico sono presente anch’io. Ricordo, ad esempio, il lavoro fatto per un’opera di Jules Massenet, al Regio di Torino, per cui ho realizzato quattro pile di volumi alte un metro e mezzo, disposte sul palcoscenico. L’ultimo volume in alto era meccanico e le pagine venivano sfogliate come per effetto del vento”. Un progetto che tu da molto tempo coltivi è “Pinocchio”. Perché? “Pinocchio è indubbiamente il racconto più tradotto. Sono stati realizzati parecchi film su di lui, dimenticando tuttavia l’autore, Collodi. Il racconto è stato modificato credendo di ottenere di più, invece il risultato è stato inferiore. Io ritengo che il miglior collaboratore, in questi casi, sia proprio l’autore. Il mio più vivo desiderio sarebbe dunque di realizzare un cartoon nel pieno rispetto del testo letterario”. Tuo figlio Vittorio collabora con te, come in una vera bottega rinascimentale dove il sapere veniva trasferito al figlio… “Lui ha sempre visto ciò che io ho realizzato e da lì ha appreso. Recentemente Vittorio ha scritto un libro insieme a Gina Basso, Amici per lo spazio, ed io l’ho illustrato. Prevediamo di farne un cartoon”. Sei tornato in Italia perché è stata richiesta la tua collaborazione per un importante progetto istituzionale. Quale? “Sì. Il progetto del Vittoriano, inaugurato il 2 giugno. Per la valorizzazione di questo monumento che è simbolo dell’italianità e per farne comprendere meglio il significato, è stata allestita una mostra multimediale, una combinazione tra meccanica ed ottica, con elementi allegorici”. Si è parlato recentemente anche di un progetto del Ministero dei Beni Culturali in collaborazione con Rai Educational per la promozione dell’arte e dei Musei italiani… “Sì, posso anticiparti qualcosa. Abbiamo una enorme ricchezza di opere d’arte in Italia. Basti pensare all’antica Roma. Il Colosseo, ad esempio. Io mi sono occupato proprio di esso, come era in origine. Ne verrà fatto un cd-rom. I lavori per questo museo virtuale sono iniziati in giugno, dopo l’inaugurazione del Vittoriano, e verranno presentati a settembre a Castel Sant’Angelo. In sostanza si tratta di far conoscere aspetti ed elementi che non si potrebbero vedere altrimenti. Ho calcolato, ad esempio, che la quantità di marmo distrutto per realizzare il Colosseo è tre volte superiore alla volumetria del monumento. Tutto ciò l’ho spiegato e dimostrato con disegni. Il mio studio sul Colosseo è basato proprio sulla tecnica ed io sono entrato nei minimi dettagli della progettazione”. Quindi il primo sarà il Colosseo… “Sì, ma i temi sono tanti. Gli affreschi di Giotto ad Assisi, la Cappella Sistina, etc. Non faremo vedere solo l’opera, ma la tecnica usata dall’artista”. Sei partito dall’arte, sei andato al cinema stai tornando all’arte. Un viaggio affascinante che ancora continua…

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